Quattro giorni. Dal 28 febbraio al 2 marzo. La curva dei contagi si impenna, a dismisura. Raddoppia. Da 888 a 2036 malati. E i morti sono 52. Da li in poi non si torna più indietro. Ma bisogna andare avanti. Perchè? Perché qui c’è il motore d’Italia, un motore che andava oliato ma nessuno se ne è accorto. Si racconta che la mattina del 2 marzo, lo scrive Repubblica, il ministro della salute Roberto Speranza dopo una serie di telefonate parla con Giuseppe Conte e dice che bisognerebbe chiudere tutto, è il parere del Comitato Tecnico Scientifico. Sempre la sera dello stesso giorno viene annunciato un nuovo focolaio a Bergamo. Ma in Lombardia, da Bergamo a Milano la parola d’ordine è ‘non fermarsi’. Già, diventa anche uno slogan, da Confindustria ai sindaci Gori e Sala tutti la fanno loro. Intanto chi si ferma sono le centinaia prima e migliaia dopo di persone malate, un numero che cresce a dismisura. Antonio Misiani, sottosegretario all’Economia, che è di Bergamo ai primi giorni di marzo, scrive sempre Repubblica, in una chat dei parlamentari lombardi del Pd: “Ci sono più morti di quello che si dice. La gente rischia di morire in casa. Dobbiamo fare qualcosa”. Tutti parlano della ‘zona rossa’. Anche Bankitalia che prevede un crollo dell’economia. E sembra che questo crollo influirà molto su una decisone mai presa, o forse cambiata in corsa. Come Bankitalia la pensa anche Confidustria, senza la Val Seriana una parte importante del motore economico d’Italia si spegne. Intanto continuano a spegnersi le persone. E poi c’è il duo Fontana & Gallera che imperversa ovunque, cominciano le doppie conferenze stampa Protezione Civile a Roma e Regione Lombardia a Milano, una sorta di gara a chi ce l’ha più lungo. Già. Intanto la gente muore. Il rimpallo tra Regione e Governo continua. In Lombardia il 2 marzo ci sono 1254 positivi, 478 ricoverati, 127 pazienti in Terapia intensiva, 38 morti su 52 in Italia, nella vicina Veneto in pieno focolaio di Vò con infezioni a Padova e nella zona di Treviso e Venezia ci sono 291 positivi, 17 ricoverati in Terapia intensiva e migliaia di tamponi, e la differenza sarà proprio questa. Già, i tamponi e i test sierologici che in Lombardia per settimane non vengono fatti. E intanto il virus si diffonde ovunque. Intanto le scuole di ogni ordine e grado vengono chiuse in tutta Italia. Ma la zona rossa quella no. Non si fa ancora. E intanto in Lombardia si parla chiaramente di ricoverare pazienti Covid ultrasettantenni nelle Rsa perché gli ospedali sono saturi. Una debacle. Gli anziani sono quelli più colpiti, ne moriranno a migliaia. Ma i riflettori sono tutti sulle aziende. Vengono preparati i cosiddetti codici Ateco, quello che serviranno il 22 marzo a chiudere l’intero sistema produttivo non essenziale. Il 3 marzo i dati che arrivano dalla provincia di Bergamo, in particolare da Alzano e Nembro sono allarmanti, secondo gli esperti, tutti i casi partono da un’unica catena di trasmissione. Serve la zona rossa. Il Governo chiede un supplemento di istruttoria al Comitato tecnico scientifico. E nella serata di giovedì 5 marzo il presidente dell’Istituto superiore della sanità Brusafello con una nota scritta segnalava che, pur riscontrandosi un trend simile ad altri comuni della regione, i dati in possesso (l’incidenza di nuovi casi e il loro incremento, nonché la stretta vicinanza a una città) rendevano opportuna l’adozione di un provvedimento volto a inserire i Comuni di Alzano Lombardo e di Nembro nella cosiddetta “zona rossa”. Tutti se l’aspettano ma le ore passano. Il 6 marzo si tiene un’altra riunione per decidere la zona rossa a Nembro e Alzano, la riunione è nella sede della Protezione Civile. E alla fine la zona rossa si trasforma in zona arancione di tutta l’Italia. Tutto qui? Macchè, il 6 marzo all’Hotel Continental di Osio Sotto i militari del III Battaglione Lombardia dell’Arma dei carabinieri saliti da Milano e uniti a quelli arrivati da Veneto, Piemonte, Toscana aspettano ordini. Si aspetta solo un cenno per andare a chiudere i ‘confini’ di Nembro e Alzano. Sono 400 gli uomini tra carabinieri, polizia, guardia di finanza ed esercito. Restano lì 5 giorni. Poi arriva il contrordine ‘cessata esigenza’. Si torna a casa, o meglio ognuno nelle proprie caserme. Da giovedì 5 marzo a lunedì 9 marzo, un’attesa infinita che intanto produce migliaia di nuovi contagi e tantissimi nuovi morti. Secondo i racconti delle fonti il concentramento dei militari era previsto alle 19 del 5 marzo in via delle Valli dove c’è la sede del Comando provinciale dei carabinieri di Bergamo, da lì sarebbe partita la chiusura di Alzano e Nembro. Ma il problema sembra fossero i…numeri e i numeri parlano di 376 aziende, 3700 dipendenti e un fatturato di 680 milioni di euro all’anno. Insieme all’Esercito sarebbero dovuti intervenire la notte del 5 marzo anche 110 carabinieri, 120 poliziotti, 50 finanzieri, 90 effettivi dell’esercito. La sera del 5 marzo al Palace Hotel di Verdellino arrivano cento carabinieri del Reggimento di Milano. Davanti all’albergo sono parcheggiate camionette e blindati. A due chilometri di distanza, al Continental di Osio Sotto, ci sono altri cento poliziotti. Poi ottanta soldati dell’Esercito, e altri cinquanta finanzieri.
Insomma, tutto pronto per chiudere come era stato fatto anche per Codogno in precedenza. La voce circolava ovunque, dai social agli amministratori dei paesi della valle. La comunicazione era arrivata anche alla Prefettura e alla Questura di Bergamo. Ma non si trattava solo di una comunicazione, era davvero tutto pronto, la chiusura di tutti gli accessi ai due paesi, segnaletica stradale e jersey, blocchi di cemento armato già forniti dalla Provincia di Bergamo. Ecco qui il racconto raccolto da Repubblica da un militare…
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