Cronache fra tragedia e farsa al tempo del Covid 19. “Se ha avuto morti in famiglia ma sta bene non le facciamo il tampone”. “Allora posso uscire?”. “No, perché non ha fatto il tampone”

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Inizio di gennaio, non fa neanche troppo freddo, eppure negli ambulatori dei medici di base comincia ad arrivare gente con tosse e polmoniti. Nei paesi qui intorno le voci cominciano a circolare ‘quest’anno l’influenza prende i polmoni’.

Incontro un’amica di mia madre: “Mi hanno dimesso dall’ospedale di Esine da pochi giorni, polmonite, mai stata così male e sì che non avevo preso freddo”.

Rientro a casa. Lo dico a mia madre che mi racconta che al mercato del martedì ha saputo che un’altra sua amica molto più giovane, era appena stata dimessa, anche lei polmonite.

Scrivo un messaggio a Maria, la custode del Santuario di Sovere, per salutarla, mi risponde che è reduce da una bruttissima influenza, tosse e respiro difficoltoso.

Sui giornali intanto si parla della Cina. Ma qui l’unico allarme è di non andare a mangiare il sushi. Già. Proprio così. Il panico è solo quello. Sul salmone crudo che avvolge il riso… che però non abbonda sulla bocca degli stolti.

Wuhan è lontana, la Cina è vicina

Ma stolti lo siamo stati davvero. Wuhan viene chiusa il 23 gennaio. Tutti scoprono che esiste questa città da venti milioni di abitanti grazie al covid 19. In tv le immagini di gente a cui viene provata la febbre, mascherine e strade deserte. Sembra uno scenario lunare. Lontano anni luce da noi. Lontano da tutto. Intanto qui le polmoniti sono ovunque.

I casi di gennaio

Domenica 26 gennaio, rientro dalla redazione, Mattia ha tosse, va a letto, respira male, provo la febbre, 37.5, penso al solito broncospasmo da allergia agli acari, pompetta e nanna, al mattino ancora febbre e respiro difficoltoso, il 31 gennaio compie gli anni e vuole andare in pizzeria con gli amici cosi per sicurezza lunedì pomeriggio lo porto dalla pediatra, pensando che mi darà la solita pompetta da fare e l’aerosol da broncospasmo. Arrivo, le spiego la situazione, mi guarda ‘si, sicuramente è il solito broncospasmo, però lo visito lo stesso’. Appena ascolta i polmoni fa una faccia strana ‘no, non è broncospasmo, non capisco, è un respiro strano, c’è qualcosa che non va, sembra possa diventare polmonite, niente festa di compleanno e niente calcio per 8 giorni, poi lo voglio risentire”. Mattia rientra a casa, tachipirina per due giorni, sta meglio, la pizzata la fa lo stesso, il calcio no, intanto guarisce.

Intanto altri suoi amici prendono febbri altissime e bronchiti, il suo papà respira malissimo e prende tachipirina, una mia amica con cui me ne vado al Santuario all’alba mi racconta di non sentire sapori e odori da giorni ‘meglio, cosi non sento le schifezze che cucino’.

Wuhan continua a essere su tutte le prime pagine. Ma il leit motiv è sempre quello, non mangiate dai… giapponesi (che poi semmai sarebbero i cinesi).

I morti non “ufficiali”

Il 30 gennaio è abbondantemente passato, quel giorno, l’Organizzazione Mondiale della Sanità avverte che l’epidemia è ormai internazionale. Gli ambulatori medici sono presi d’assalto da gente con polmoniti, soprattutto in Lombardia ma occhio al… sushi. E basta.

E negli archivi informatici dell’ATS di Bergamo, l’Azienda di Tutela della Salute, le richieste di radiografie continuano ad accumularsi: ma nessuno nota niente. Nessuno monitora.

Per i posteri la data che resterà nella storia è quella del 20 febbraio, quando Mattia Maestri da Codogno, aitante giovanotto, crolla anche lui per una polmonite, ma quel giorno l’intuito di una giovane professionista solleva il coperchio ed esplode tutto.

Il primo morto per la cronaca ufficiale è Franco Orlandi, il 23 febbraio. Carnevale. Ma intanto nei giorni precedenti in redazione arrivavano richieste di pubblicare ricordi di persone morte per polmoniti o per improvvisi peggioramenti dopo alcune malattie.

Ma a gennaio i morti…

Ma anche qui l’importante continua a essere… non mangiare sushi. Intanto a gennaio nella Rsa di Nembro sono morti 20 anziani, lo scorso anno nello stesso periodo erano morti in 7. Sempre a gennaio di quest’anno i funerali sono stati 18 a Nembro e lo scorso anno sempre a gennaio 8. Ma occhio a… non mangiare il sushi.

Le farmacie raddoppiano le vendite di antibiotici, le ambulanze fanno il doppio degli interventi e i volontari della Croce Rossa misurano parametri di ossigeno nel sangue bassissimi. Ma il problema è sempre il sushi. L’Ats non fa nulla. E in tv tutti commentano le immagini di questa città fantasma lontana anni luce da noi.

Il Fatto Quotidiano qualche giorno fa ha parlato di Alessandra Raimondi, medico di base ad Alzano che retrodata il suo primo caso di Covid 19 al 5 febbraio. Polmonite virale, che non migliorava. La paziente era un’insegnante elementare. Sta male per un mese poi guarisce, la diagnosi è polmonite bilaterale interstiziale. E la dottoressa ricorda che l’11 febbraio i 4 pazienti che erano insieme nella sala d’attesa dopo qualche settimana erano tutti positivi al covid.

Dall’Ats silenzio. Le linee guida ai medici di base sono arrivate… il 25 marzo. Quando il pallottoliere dei morti segnava 7503. Ma l’importante era ancora non mangiare sushi.

Il caso di Alzano

Intanto a fine febbraio, giusto la domenica di carnevale, il Pesenti Fenaroli di Alzano, l’ospedale, viene chiuso e riaperto nel giro di due ore dopo un caso di covid accertato manco fosse uno scherzo di carnevale. Chi aveva parenti ricoverati in quei giorni racconta di decessi di anziani, di infermieri che all’improvviso sono apparsi nelle corse con le mascherine, ma non di carnevale, e poi le hanno tolte. Il caos regna sovrano. Il virus si diffonde ovunque ma l’importante è non mangiare sushi.

La storia di Flavio

Flavio Marinoni vive a Rovetta, fa il fotografo da una vita per molti media, anche per noi, comincia a stare male, febbre, stanchezza, suo figlio Morgan comincia a prendersi cura di lui, anche la moglie sta male, febbre, Morgan chiama il numero predisposto per il covid, niente da fare, deve arrangiarsi, Flavio sta sempre peggio, Morgan chiama ancora, negli ospedali non c’è posto, ‘procurati una bombola d’ossigeno’, come fosse facile, Morgan fa il giro di tutte le farmacie, non se ne trova una nemmeno a pagarla oro. Disperato chiama e richiama, dopo qualche giorno finalmente portano Flavio in ospedale, non si sa quale, Morgan scopre dopo che è Piario, ha passato due giorni per terra su un materasso perché non c’era posto, viene trasferito a Milano, muore qualche giorno dopo. E’ passato più di un mese e Morgan non ha più ricevuto nemmeno le ceneri, a casa sono arrivate quelle di una signora di…Bologna. Morgan e sua mamma intanto stanno aspettando di fare il tampone ma non glielo fanno, perché? Perché hanno avuto febbre, quindi “è chiaro che lo avete avuto, e non si fa”.

Già, chi non ha avuto febbre non lo fa perché sta bene e non glielo fanno e chi ha avuto febbre lo ha, quindi è inutile farlo.

La storia di Marco

Marco Milesi invece è di Sovere, era di Sovere, 80 anni, stava male da giorni, polmonite, anche per lui niente ricovero, non c’è posto, il figlio chiama l’ambulanza tante volte, viene e poi va, non ci sono posti, anche a lui dicono di prendere una bombola d’ossigeno, ma la bombola non si trova da nessuna parte, Marco peggiora e peggiora e alla fine un’ambulanza lo porta a Lovere, resta ricoverato in Pronto Soccorso su un lettino perché non ci sono posti liberi, una mascherina per l’ossigeno, solo, e la solita telefonata a casa dopo qualche giorno, Marco è morto, ritirare gli effetti personali.

  1. agli “arresti domiciliari”
  2. invece è la moglie di Sandro, di Onore, Valseriana, da più di un mese è agli ‘arresti domiciliari’ a Ponteranica, un paese dopo Bergamo, da una nipote, Sandro ha preso il coronavirus, ricoverato al Papa Giovanni XXIII, morto, a lei non viene fatto il tampone, continua a telefonare all’Ats, risposta. “Se sta bene non glielo facciamo”, “Quindi posso tornare a casa a Onore?”. “No, perché non ha fatto il tampone”. Sembra una barzelletta, o uno scherzo di carnevale, ma siamo a maggio. M. ci ha telefonato in redazione in lacrime.

La farsa drammatica

Emy invece è la moglie di Valentino Maj, di Vilminore di Scalve, Valentino a marzo ha cominciato ad avere febbre alta, è durata per giorni e giorni, poi lo hanno ricoverato ad Esine, dopo pochi giorni hanno ricoverato anche suo fratello Luigi, anche lui covid. Valentino è morto. Non c’erano respiratori per tutti in quei giorni. C’erano respiratori per pochi, molto pochi. Sono passati quasi 60 giorni Emy sta aspettando di fare il tampone, chiama l’Ats ma niente da fare. Intanto può o non può uscire di casa? “Se sta bene non le facciamo il tampone”. Posso uscire?” “No, perché non ha fatto il tampone”. La barzelletta che si ripete.

E poi cinque fratelli di Gazzaniga, una famiglia intera di Valbondione che gestiva un rifugio, e poi Michele, Antonio, Lina, Francesco, Simone, Marta, Jacopo, Cesare…. Potremmo andare avanti all’infinito. Una farsa drammatica.

Il telefono sbattuto

In questi giorni Roberto Benintendi di Albino ha pubblicato questo post: “Visto che nessuno di Ats Bergamo risponde più al telefono, segnalo questa situazione. Dopo 3 giorni di sintomi di sospetto Covid-19 di mio figlio, 16 anni, il medico di base decide di segnalare, come da COMUNICAZIONE UFFICIALE ricevuta via mail DA ATS BERGAMO giovedì 14.5.2020 alle ore 15.35. La nuova comunicazione prevede di segnalare il nuovo sospetto covid su apposito portale, indicando anche i familiari conviventi, che ovviamente devono rimanere in quarantena. Ci comunica, come previsto, il codice NRE per la prenotazione dei tamponi nasale e faringeo, e ci comunica che dobbiamo procedere chiamando il numero verde lombardo 800-638638. Tutto come da indicazioni ufficiali ATS Bergamo. Procedura confermata anche da altri medici.
Il 14.5 chiamo subito il numero verde, e per tutta risposta mi dicono che loro non possono prenotare nulla, che dobbiamo rivolgerci all’Ats di Bergamo.
Chiamo Ats che risponde che non sono loro ad occuparsene ma il medico di base, e dietro mia richiesta di chiarimento, mi chiudono la telefonata brutalmente e senza preavviso.
Riproviamo il 15.5 sia con il numero verde e con Ats Bergamo, stesso risultato. Con Ats telefonata ancora chiusa dall’operatore senza preavviso, e a seguire più nessuna risposta.
Riprovo oggi 16.5 con il numero verde lombardo, stesso risultato. Ats Bergamo non risponde.
Non ho parole, anzi ne avrei molte da dire. Ma ora vorrei risposte, come tanti cittadini che come me e la mia famiglia sono lasciati a loro stessi, in un balletto di incompetenza e disorganizzazione vergognosi. Albino, Valseriana, Bergamo, 16.5.2020 ore 11.11”.

Benintendi fa scattare il tam tam su facebook e qualcosa si muove: “Aggiornamento: abbiamo ricevuto poco fa telefonata da Ats Bergamo. Ci riferiscono che il nuovo protocollo non sarà attivo prima di lunedì (sarebbe stato utile avvisare anche i medici di base). Domani pomeriggio mio figlio dovrebbe fare tampone a Bergamo.  Rimane il punto: mi hanno chiamato perché ho fatto casino? Spero che anche le altre persone in sospeso vengano chiamate allo stesso modo, e che l’evidenza pubblica di questa situazione sia servita a qualcosa”.

Chi paga i test?

Insomma, sembra che ATS e Regione Lombardia siano sensibili non tanto alla febbre quanto ai media e alla comunicazione. Già, ma a chi non ha voce? Forse per questo nelle Rsa sono morte migliaia di persone… Insomma, i tamponi non li fanno, E allora si cerca di capire con i test sierologici se il covid almeno è stato fatto, ma che succede? Che i costi lievitano alle stelle, che la Regione sostanzialmente risponde “Li volete fare? Li pagate e li prenotate ma forse non hanno valore”. Ma il test non è un capriccio. E’ il diritto di sapere se si è, se si è stati malati.

Alcuni imprenditori spendono migliaia di euro per far fare i test ai propri dipendenti e capire almeno se si può lavorare in tranquillità.

Intanto chi è riuscito ad entrare nella lista di quelli che faranno il tampone deve ricominciare la quarantena fiduciaria fino a che non fa il tampone. Quindi, per la regione Lombardia, se hai sintomi ma non fai il tampone, dopo 14 giorni a casa puoi uscire. Se hai sintomi, stai 14 giorni a casa, ma poi entri nella lista di chi farà i tamponi, devi chiuderti in casa di nuovo.

In pratica è la lista d’attesa che ti rende potenzialmente infetto. E intanto il diritto di sapere se siamo malati va a farsi fottere. Abbandonati. In Lombardia. In tutti questi anni mi avevano fatto credere di avere avuto un culo pazzesco a nascere nella Regione dell’eccellenza sanitaria. Forse ci ha fatto uno scherzo (prolungato) di carnevale. O forse no, forse è solo colpa del fatto che abbiamo mangiato troppo sushi.

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