Democratici sull’orlo di una crisi di nervi

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SCENARI POLITICI

Renziani (della prima ora)

sull’orlo di una crisi di nervi

Renzi sbarca a Bergamo – presso la Fiera Nuova – questo venerdì (21 aprile) e trova un Partito apparentemente unito. Col 70% degli iscritti che gli hanno dato fiducia (quasi il doppio rispetto al 2013), il sindaco del capoluogo, il segretario provinciale e quello cittadino, e probabilmente anche molti semplici simpatizzanti senza tessera pronti a ridargli il voto.

Ma dietro l’unità di facciata, e anche dietro il fair play fra orlandiani e renziani bergamaschi, si nasconde (e neanche tanto bene) la lotta per le candidature, in prospettiva delle elezioni regionali (2018), parlamentari (fine 2017 o dopo) e quelle amministrative (giugno 2019).

Così, quando due settimane fa abbiamo scritto una cosa che sembra, numeri alla mano, lapalissiana: che il passaggio dal 40% al 70% dei voti per Renzi è merito (non in maniera esclusiva ovviamente) della capacità di spostare consenso dei militanti, da parte di chi quattro anni fa stava con Bersani, e quindi Elena Carnevalie Maurizio Martinain primis, nel Partito si è scatenata un po’ di maretta con i renziani della prima ora “offesi” perché non si riconosceva il giusto valore al loro ruolo.

Visto che il nostro ruolo è quello di fare giornalismo e non di piegarci ai voleri del mondo politico, cerchiamo di spiegare il perché di questi mal di pancia.

I renziani sentono di essere fondamentali nella raccolta dei voti, ma si sentono poco rappresentati negli organismi di Partito e nelle istituzioni.

Alle prossime elezioni regionali si ricandideranno i due consiglieri uscenti: Mario Barboni(che settimana scorsa ha avuto un malore, gli facciamo i nostri migliori auguri) renziano ma non della prima ora e di fede sanghiana e, eletto a sorpresa a suon di preferenze,Jacopo Scandella, renziano sui generis, eletto nel 2013 contro il candidato ufficiale dei renziani, Alessandro Frigeni. E poi si candiderà quasi sicuramente il presidente della provincia, Matteo Rossi, renziano ma solo da un mese.

Alla Camera ci riprovano Elena Carnevali e Giovanni Sanga, anche loro renziani a scoppio ritardato: dal 2017 Elena Carnevali e dalle primarie 2013 Giovanni Sanga. Seguiti dagli altri due parlamentari uscenti, Antonio Misianie Beppe Guerini: Orlandiani doc.

Certo, in città dal 2014 governa Giorgio Gori, ma in Giunta fra i nove assessori l’unica renziana è Leyla Ciagà, assessore all’ambiente. E poco o nulla quelli della prima ora hanno avuto dagli incarichi nelle società partecipate.

Così si profilano, fra le diverse ipotesi di candidatura, due nomi che potrebbero mandare in fibrillazione la tenuta del quadro. Dall’isola emerge il nome di Raffaello Teani, 38 anni, fra i coordinatori della mozione Renzi/Martina e coordinatore del direttivo della Comunità dell’Isola Bergamasca, potrebbe essere uno dei candidati alla Camera dei Deputati, soprattutto se Giovanni Sanga dovesse decidere di puntare a Palazzo Madama. Ed alla Camera, non dimentichiamo, è prevista la doppia preferenza di genere (si possono dare due preferenze ma ad un maschio e ad una femmina) e allora, oltre alla già citata Carnevali, potrebbe scendere in campo la capogruppo del PD a Treviglio, Laura Rossoni.

Ma anche in città cova del malcontento per lo status quo, ed il segretario cittadino, Federico Pedersoli,scalda i muscoli per correre verso il Pirellone. Impresa difficile ma non impossibile se riuscirà a trovare un accordo con tutto il PD cittadino (per partire quindi con una base di circa 3mila preferenze).

E poi, in caso di candidatura Gori come governatore, verrà proiettata in chiave regionale l’esperienza della Lista Gori. E allora sarà la volta di Maurizio Betelli, coordinatore della Lista Gori e di Innova Bergamo, il think-tank lanciato dal sindaco al momento del suo ingresso in politica.

Ipotesi di candidature che muovono alleanze, provocano incremento nelle vendite di Maalox in farmacia, agitano i vertici del PD. Ma la verifica di fattibilità ha un primo test: il 30 aprile, quando si conteranno i voti ma soprattutto i votanti. La capacità del PD di muovere le masse. Difficile tornare ai quasi 40mila del 2012. Nella segreteria del Partito Democratico tengono alta l’asticella e sostengono che scendere sotto i 30mila elettori verrebbe letto come una sconfitta, e quindi anche come un rischio di minor consenso e meno eletti per le successive tornate elettorali. Quelle che contano.

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