Diario aperto dalla prigione: i testi dei detenuti

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Pubblichiamo alcuni testi scritti dai detenuti del carcere di Bergamo, la scrittrice, insegnante e formatrice Adriana Lorenzi, tiene un laboratorio di scrittura creativa intitolato ‘Spazio-diario aperto dalla prigione’ e i testi sono stati pubblicati sul giornale interno del carcere. Eccone alcuni che ci sono stati inviati. Altri verranno pubblicati sui prossimi numeri di Araberara.

MUSLI MORINA

Anime

Conosco le anime semplici

Che si sono perse

Chiuse nel dolore,

si parlano con voci

che paiono canti

Anime perse in universi

composti da labirinti

colmi di domande senza risposte

Sorgono con la notte

e scompaiono, col sorgere del sole

 

MATTIA ZAMBETTI

Ho visto il carcere che avevo due anni: i ricordi
più belli quando vedevo i miei genitori innamorati

Ho iniziato a entrare in carcere come visitatore di mio papà all’età di 2 anni. Oggi ne ho 33 e non ho ancora smesso di vedere il carcere.

Ricordo perfettamente tutti gli istituti girati per quindici anni consecutivi, dai 2 ai 16 anni – Bergamo, Udine, Parma, Tolmezzo, San Vittore, Vercelli, Piacenza – come visitatore.

Invece come detenuto sono stato a Koper (Capodistria) Slovenia, Mirna Dop sempre in Slovenia, Tolmezzo, Monza, Prato, Milano Opera, Bergamo e Bollate.

Ricordo i viaggi che si facevano. Io e mio fratello stavamo a casa da scuola e ci sdraiavamo sui sedili posteriori dell’automobile con il cuscino. Partenza all’alba e noi dormivamo mentre mia mamma guidava oppure i miei zii. Direzione carcere.

I due carceri che mi hanno colpito di più sono stati Parma e Tolmezzo. Di Parma ricordo il tunnel che attraversavamo a piedi per arrivare alla zona colloqui. Di Tolmezzo, carcere ai piedi delle montagne, ricordo alcuni agenti vestiti con indumenti militari mimetici diversi da altri.

Non vedevo l’ora di entrare da mio papà che era sempre il primo ad arrivare alla sala colloqui che aveva un lungo bancone divisorio: da una parte i detenuti e dall’altra i visitatori. Io e mio fratello scavalcavamo il bancone per andare ad abbracciare nostro papà che, per questo, veniva spesso richiamato.

Ricordo i dolci che ci portava e i baci che ci dava. Poi gli dicevo di farmi vedere i tatuaggi che aveva. Quando da piccolo entravo in carcere, le cose che mi colpivano erano: i metal detector dove passavano i pacchi (io ci volevo entrare); le chiavi; i cancelli; l’odore: quello dei vestiti. Un odore unico… in negativo. I detenuti quasi tutti in tuta e scarpe da ginnastica; l’attesa sempre e ovunque

I ricordi più belli sono quando vedevo i miei genitori innamorati.

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