LA SUA STORIA RACCONTATA IN UN LIBRO Don Antonio, missionario in Bolivia. Diventò il grande nemico dei golpisti e guidò i suoi minatori in battaglia “La guerra non si fa col catechismo”

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Sono il babbo dalla lunga barba”. Era il giorno dopo la “notte dei fuochi” accesi sui monti per dare l’allarme all’arrivo dell’esercito nemico. E quel pretino con la barba incolta che telefonava al Vescovo, era il parroco di Viloco, paese di minatori, occasionalmente alla testa del Comitato di Resistenza che si stava trasformando nel nuovo Governo Rivoluzionario di Resistenza Popolare (tutto maiuscolo) della Bolivia. E chiamava il “suo” Vescovo, Lopez De Lama, per un’urgenza. “Deve immediatamente raggiungerci a Puchuni, sulla strada per Tres Cruces”. Le cruces che don Antonio Caglioni da Sovere, Italia, missionario in Bolivia, si portava in spalla si confondevano con i fucili della resistenza contro il nuovo Dittatore, il generale Garcia Meza, che aveva appena compiuto un Colpo di Stato, esautorando la signora Lidia Gueiler, governatrice legittima della Bolivia.

Era il 1980 e don Antonio era missionario in Bolivia da quattro anni, prima girovago da una diocesi all’altra dell’America Latina, alla ricerca del suo posto di combattimento religioso, sociale, umano.

La storia di questo prete anomalo è raccontata in un libretto appena stampato “Il prete che mirava in alto” e uno pensa che si riferisca al cielo, al paradiso, ma il sottotitolo riporta già sulla dura terra, “Disavventute rivoluzionarie di Antonio Caglioni in Bolivia”. Scritto in modo stupendo, avvincente da un… infermiere, Luca Bonalumi, che con don Antonio ha trascorso qualche mese, lassù a quota 4.200 m, dove l’aria è così rarefetta che confonde perfino le idee o te le schiarisce, dipende e le storie diventano “magiche” (la definizione letteraria è “realismo magico”).

Nella “notte dei fuochi” si fabbricarono le molotv non con la benzina, che non c’era, ma con la dinamite che in una miniera (di stagno) non mancava….

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