benedetta gente

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    C’è la fila (“non spinga, signora, c’ero prima io. Ah beh, se è incinta…”) per salire sul carro(ccio) del vincitore. Piccoli segnali di fumo. C’è chi alle cene preelettorali vantava amicizie imperiture, “ho sentito Matteo l’altro giorno, era preoccupato ma mi ha assicurato che siamo in rimonta”. Sentito il giorno dopo, quello del the day after, sostenere che in fondo lui ha sempre avuto dei forti distinguo con Renzi. Che era il titolare del nome Matteo dei giorni precedenti. L’uso differenziato di nome e cognome vale come presa di distanza dallo sconfitto, ci si smarca in fretta per rifarsi verginità perdute. Alla riunione vipposa (sempre cena ma questa volta di gala) c’era chi dipingeva scenari dati per certi: “Ho sentito Silvio, c’è un accordo tra lui e Matteo per far eleggere Giorgio in Regione, non gli piace quel Fontana, su Giorgio ha assicurato che farà confluire i voti di Forza Italia”. Sentito lo stesso signore il giorno dopo “Berlusconi ha capito che Gori era troppo indietro nei sondaggi e che Renzi andava verso la disfatta, Attilio (Fontana – n.d.r.) era troppo avanti ed è saltato tutto”. Dal nome al cognome, tanto per far sapere, a futura memoria, che in effetti non c’era mai stata tutta quella confidenza e adesione ideale e politica che lo stesso signore vantava nei giorni precedenti, adesso che sia Matteo che Giorgio e lo stesso Silvio sono usciti con le ossa rotte dalle urne in cui semmai rischiano di essere sepolti con tanto di poco affettuoso necrologio scolpito sulla lapide, nella tradizione maramaldesca italiana (Maramaldo è il personaggio che infierisce su quelli a terra), più volte sperimentata anche dopo Piazzale Loreto.

    Può darsi cambi tutto davvero, questa volta, che sia passato di moda il «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi» come dice il prediletto nipote Tancredi al Principe di Salina (il Gattopardo). “Gattopardismo” è diventato così un altro modo di definire il “trasformismo”, anche questo inventato da noi italiani, che è poi la nostra capacità di saltare già dal carro che sta per rovesciarsi e salire a tempo giusto sul carro del vincitore.

    Ma vale per politici spregiudicati e maneggioni. Il “popolo” cambia umori e, quando ne ha l’occasione, esasperato, rovescia i carri intorno ai quali il giorno prima alzava inni e canti. Appunto, ci stava “intorno” a quei carri, su cui i posti sono riservati, tanto vale “provare” a spostarsi (sempre restando giù, camminando “intorno”), accompagnare altri carri trionfali, sperando che dal nuovo carro cada qualche briciola in più che aiuti a sbarcare il lunario.

    “Si sono presi il nostro cuore sotto una coperta scura, sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura”. Veramente la paura c’era anche se poi non credevamo nemmeno tanto alle ragioni per averla, avevamo paura di aver paura. E comunque “Fu un generale di vent’anni / occhi turchini e giacca uguale, / fu un generale di vent’anni / figlio di un temporale” a sconquassare il nostro mondo piccolo e anche piuttosto meschino che ci vorrebbe di nuovo un Guareschi a descriverlo facendo emergere le nostre piccolezze egoistiche, esplose alla prima nevicata semiseria di stagione, tutti a gridare allo scandalo di quelli lazzaroni del Comune che non venivano a sgombrargli la neve sull’uscio di casa che ci si rovinava la scarpette di camoscio o a indicare i marciapiedi innevati come una piaga d’Egitto immeritata e i sindaci che, sollecitati da mamme apprensive, decretavano la chiusura delle scuole che, avendo avuto esperienza nelle scuole scalvine, non ci sognava di chiuderle nemmeno sotto la nevicata del secolo, che i ragazzi arrivavano a scuola a piedi e non si erano mai divertiti tanto e nelle aule c’era comunque caldo e ci si godeva un panorama che livellava ed eguagliava una tantum le ambizioni costruite sulla madre terra.

    E visto che l’ho citata, credo sia proprio l’uguaglianza che non venga vissuta più come valore: liberté, égalité, fraternité sono vocaboli datati anche se ci hanno fatto addirittura una rivoluzione e sono il fondamento filosofico laico del pensiero occidentale. C’è rimasto un travisato senso di liberté (intesa come: ognuno si faccia i fatti suoi) ma gli altri due vocaboli sono associati rispettivamente il secondo, égalité, addirittura a socialismo e comunismo, il terzo, fraternité, a una residuale prerogativa di… Papa Francesco.

    Bisogna trovare al più presto qualche nuova parola chiave per giustificare quello che resta della nostra civiltà ed esigenza di comunità, che oggi è semplicisticamente identificata con la nostra sicurezza personale e qualche bisogno personale contingente (non fosse che quello dello sgombero neve… o del soccorso sanitario).