“Pani e pesci, pesci a pani, / senza trucco vi moltiplico domani” (Vecchioni). A dispetto dei talkshow (sempre meno seguiti) nella campagna elettorale delle scorse settimane sono prevalsi i monologhi sui social. È vero che poi, sotto il video, i commenti a volte sono stati feroci, ma hanno avuto vita breve, sono spariti, tranne in pochi casi in cui eroicamente il candidato li ha lasciati, contando, spesso invano, che qualcuno dei “suoi” li rintuzzasse. Il confronto sarebbe stato faticoso, pericoloso, lo si è disertato perfino a livello comunale. Il segnale del “risveglio” di interesse a questo primo livello (quello comunale) con la (relativa) diminuzione del fenomeno delle liste uniche, purtroppo non è stato rinforzato dall’attenzione ai programmi, alle diverse idee di sviluppo del paese, alle possibili soluzioni dei problemi. La gente non ha voglia di “perdere tempo a leggere pipponi di promesse che tanto poi si sa come vanno le cose”. Comunque poi ecco il disertare inviti a dibattiti tra candidati a sindaco, in quel caso si sarebbe dovuto discutere di progetti, programmi, bisogni, rimedi. Meglio i monologhi (“Pani e pesci, pesci e pani / Fa’ una croce e li ricevi già domani”), dove si può promettere ogni cosa, anche se meglio stare sul generico, tipo le frasi fatte, “attenzione alla persona” che vuol dire niente se non si entra nel concreto, perché stando sulle generali si possono ignorare i particolari.
Come dai social sono spariti certi commenti (alti lai sulla libertà di opinione, confusa con la libertà di insulto), sono spariti nel nulla anche migliaia di post e foto: ma la notizia è passata inosservata. Insomma, a dispetto di quello che ci avevano detto, internet non è un campo infinito che conserva tutto, non è eterno e, ancora a dispetto dei profeti di sventura, dura di più la carta stampata. C’è in proposito un collaterale fenomeno anomalo: le tipografie (e le relative case editrici), stampano ogni anno migliaia di libri. Ma se nessuno legge più! Infatti. Ma scrivono tutti, quasi tutti. Perché ognuno ambisce a restare nell’eternità e, sorprendentemente, per “restare in memoria” confida nella carta stampata: scrive la sua autobiografia, il suo romanzo, il suo libello (chiamarlo “saggio” è un azzardo), ne fa stampare poche centinaia di copie, perché costano, comunque paga e poi le distribuisce a parenti e amici, anche se la casa editrice gli ha promesso che, nel prezzo (sempre corposo), è compreso anche il “lancio” del suo “capolavoro” che andrà alla Fiera del libro di non si sa dove (confuso nel catasto di volumi) e poi sarà acquistabile su… Amazon. Da chi? Ovviamente dai pochi conoscenti e amici che l’autore si è dimenticato di omaggiare.
Ma la ragione è che, in contraddizione con quello che si fa e si dice, la carta stampata viene considerata come duratura e poter dire “ho scritto un libro” è un vanto considerato fondato anche dagli interlocutori del bar che di libri hanno avuto in mano solo quelli (odiati) di scuola.
Ma revenons à nos moutons. Sui manifesti appaiono le facce (sempre sorridenti) dei candidati al tutto, quelli che hanno la soluzione finale e non si capisce perché non ci abbiano pensato anche quelli che c’erano prima di loro, era così… semplice! Piove, si sfaldano le immagini, la carta in questo caso non regge l’urto del tempo, scolorisce come le promesse.
“Pani e pesci, pesci e pani / Più son piccoli e più alzano le mani / Non ci casco questa volta /
Dite all’ultimo di chiudere la porta”.