Cos’è un podcast? Per quelli della mia età è un’altra rivoluzione mediatica, siamo venuti su a giornali, radio e poi televisione. Uno cede alla tentazione di rivedere i passaggi epocali che Mattia ascolta con pazienza, roba da vecchi tagliati fuori che vivono di ricordi che non servono a niente. E già questo è un segno che, rivoltando la storia dell’umanità, il passato diventa subito remoto, saltando a piè pari il passato prossimo che c’era quella professoressa che, arrivata dal profondo sud, segnava in rosso tutti i verbi coniugati a quel modo e insisteva a voler bocciare i ragazzi e allora agli scrutini le citammo i classici, cominciando da tale Alessandro Manzoni.
Mio zio era abbonato a due giornali che gli arrivavano per posta, incredibilmente puntuali al tempo in cui di puntuali sembravano esserci solo i treni e da ragazzo li sfogliavo badando a rimetterli piegati come erano arrivati, perché lo zio era geloso della primogenitura dell’apertura del giornale. Cosa leggevo? Lo sport, per la cronaca di paese bastava quello che raccontavano in cucina le donne di ritorno dal lavatoio. La radio trasmetteva musica, canzoni che poi si sentivano le donne con le finestre spalancate che le canticchiavano a modo loro, cambiando certe parole che sembravano, si direbbe oggi, un po’ hard e quando misi sul giradischi il primo De André con “Via del campo” alla parola “puttana” mia madre sobbalzò e disse di spegnere quella roba che i vicini magari pensavano male a andavano a riferire all’arciprete.
Via, via, menare e scaricare anche l’infanzia, direbbe Jannacci. E allora cosa è ‘sto podcast? A prima vista, quando Mattia me ne ha fatto vedere uno, ho pensato a una regressione. Due o tre tipi che stanno in uno studiolo e intervistano uno più o meno noto e famoso. E chiacchierano per un’ora, un’ora e mezza. Incredibile. Alcuni si sono allargati col tempo, raggiungono milioni di ascoltatori e a me sembra già un controsenso che i giovani stiano lì ad ascoltarli per tutto il tempo, cosa ne sanno, di alcuni ne so più io, ho sentito Gino Paoli dai Timoria (podcast su youtube) e spiegavo a Mattia la “scuola genovese” dei primi cantautori ecc. ma che quello che raccontava Paoli, alla soglia del 90 anni, potesse interessare ragazzi di 18 anni, a me è sembrato perlomeno curioso, nel senso dei cambiamenti dei tempi, il passato remoto riproposto nel presente come novità. E allora è un modo nuovo di comunicazione, che a me sembra vecchio, niente immagini di repertorio, solo chiacchiere e distintivo, per citare un film che Mattia mi guarda come parlassi arabo.
Non guardano i tg, non leggono i quotidiani e i giornali (avete mai visto un ragazzo con sottobraccio un giornale?), hanno visto Sanremo alla faccia dei radical chic che invitano a non vederlo, generazioni trasversali e lontane unite per cinque o sei sere di fila ad ascoltare musica. Poi più niente. Ma nel podcast non c’è la musica, solo parole parole parole, per un’ora e passa e i Timoria l’ultimo podcast che io sappia l’hanno fatto davanti al castello Sforzesco di Milano con una folla incredibile e interessata e lì a cazzeggiare con Teo Teocoli che è mio coscritto ed ecco la mia voglia di ricordare le sue incredibili interpretazioni di personaggi e mi rendevo conto che parlare a Mattia di Cesare Maldini era rischiare di confonderlo con Giulio Cesare e allora ho scoperto che il passato può essere proposto nel presente in modo nuovo, anche se sembra vecchio, basta non avere puzza sotto il naso e saper raccontare. Ci devo pensare, non troppo a lungo perché il tempo è quello che è e le estati passano fin troppo in fretta.