benedetta gente

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    Guerre. Parafrasando una canzone, “Brutta storia questa storia di chi sarà la vittoria?”. In barba all’ONU bloccata dai veti incrociati e impotente nei suoi appelli a vuoto, cui fanno eco quelli altrettanto inascoltati del Papa (lontani i tempi delle telefonate incrociate tra Giovanni XXIII, Kennedy e Krusciov per la crisi dei missili di Cuba), fanno il bello e soprattutto il brutto i governanti di questo brutto mondo, che invadono territori altrui a man bassa. Poi le giustificazioni sono fantasiose, dalla lontana decisione di “esportare la democrazia” in Iraq, a quella di denazificare l’Ucraina occupandola, a quelle di estirpare il terrorismo bombardando a tappeto a Gaza presunti “covi” e adesso entrando con l’esercito israeliano in Libano.

    Le guerre sono spesso partite da episodi marginali, presi a pretesto per scatenare bufere mondiali. Attenzione ai dettagli. I “colpi di testa” di gerarchi a capo di nazioni dotate di arsenale nucleare sono i sintomi di una democrazia decadente, per cui la “crazia”, il potere del “demos” il popolo, viene delegato dallo stesso a scatola chiusa, ognuno per se stesso e il mondo vada pure a ramengo se non toccano il mio giardino.

    Di questo scollamento abbiamo piccoli segnali anche nel nostro piccolo mondo antico che si sente estraneo a quelle guerre che stanno a ridosso dei confini nazionali.

    Ci sono piccole sbuffate di fumo che segnalano un probabile incendio. Roba minima.

    C’è un concorrente di X Factor che sta per entrare in scena. A presentare la trasmissione c’è la cantante Giorgia. Che lo incoraggia. Cambio di scena. Una voce chiede al concorrente: ma sai chi è quella che ti ha parlato? “No, non conosco la signora”. Ma come, sei in una trasmissione, almeno sapere chi la conduce, se non proprio conoscere la storia e i protagonisti della canzone italiana, non dico quella di Modugno, ma almeno quella recente, addirittura contemporanea.

    Nuovo cambio di scena. Sto parlando con un sindaco storico di un paese. Ha mollato da qualche anno, non da un secolo. Una signora (non una ragazza) si avvicina, vuol parlarmi del suo caso. Le presento il “suo” ex sindaco. Non lo riconosce, non lo conosce. Non le interessa il passato, le interessa il “suo” problema, hic et nunc, lasciamo perdere il latino, per carità, già i verbi sono coniugati solo all’indicativo presente, ma anche qui, solo alla prima persona singolare, il resto è terra di nessuno, perché gli altri sono degli sconosciuti.

    Ogni paese ha due archivi, il cimitero e la biblioteca. Il primo “consultato” solo dai vecchi che lì trovano qualche scampolo di felicità perduta, il secondo quasi solo da ragazzi quasi obbligati a frequentarla per un supporto ai “compiti”.

    È attribuita a Voltaire la frase sulla misura della civiltà di un popolo: “Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione”. Per misurare il grado di civiltà di un paese basterebbe fare un giro nei camposanti e verificare gli orari di apertura e chi frequenta la biblioteca, che a suo modo è un archivio di umanità che va oltre i confini del paese, fa conoscere altri mondi possibili, apre orizzonti sconosciuti, serve a non atrofizzare i cervelli.

    Sto parlando con un gruppetto di persone di massimi sistemi della tolleranza: a un certo punto cito Savonarola. Altro che il carneade manzoniano, mi guardano con gli occhi opachi, chi era costui?, mi aspetto che mi chiedano in che squadra giochi.

    Poi leggo il racconto incredibile di quella donna che, come Benigni in “La vita è bella”, nella disgrazia di un tumore, si inventa per i figli piccoli la storia di quel mostro che non deve riconoscerla e quindi si è… rasata i capelli (persi nella chemio) e gioca con loro e il gioco diventa ragione di sopravvivenza.

    E allora consoliamoci, ci sono ancora anche piccoli segni di umanità.