benedetta gente

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    Gli auguri incrociati, buon Natale, buon anno, grazie altrettanto, i regali… Già, i regali che non sai mai cosa gli farebbe piacere ricevere, che taglia ha, che gusti ha, che bisogni ha, per tutto l’anno ci siamo scambiati qualche saluto, va tutto bene? Sì, dai, diciamo che va bene e lasciano intendere che magari ci sono dei problemi ma sanno che tanto mica li potremmo risolvere noi e allora, sì, dai, va bene. Poi andiamo a fare il condolore quando veniamo a sapere che è morto, stava così bene, l’avevo incontrato al supermercato, ci aveva detto che, dai, sì, diciamo che va bene. E parlando coi parenti scopriamo che non andava bene per niente, adesso che è morto te lo possono dire.

    Viviamo in una società che sembra quella del finale di Blow up il film di Antonioni in cui l’incomunicabilità e la difficoltà di capire cosa sia vero e cosa sia falso portano a una partita di tennis senza… pallina.

    L’anno che verrà sarà la prosecuzione di quello che finisce, con gli stessi mezzi, gli stessi problemi irrisolti, ma con l’aggiunta di più paure che le cose precipitino, siamo in un mondo dove il cambio di umore di un leader può scatenare un putiferio. Lo scontro generazionale aumenta l’incomunicabilità e si è estesa alla politica, perfino i padri fondatori vengono messi da parte in malo modo.

    Si va di fretta, la fretta di scalare la parete rocciosa del successo, scalciando anche i compagni di cordata, caso mai arrivino in cima prima di noi. Non è un mondo per deboli.

    Le lucette per strada fanno aumentare il caldo percepito dei sentimenti, ma la percezione è già diversa dalla realtà, è personale. Le notizie di centinaia di morti, per le guerre ormai croniche (“la guerra è un esproprio dei sentimenti” mi aveva detto una donna), per i nuovi diluvi universali, non ci toccano più di tanto, “cuori di pietra che non sanno dare una lacrima”; piuttosto il caso singolo, quello sì ci scatena gli umori peggiori, quella donna incastrata nelle grotte, ma stia a casa sua che adesso bisogna spendere soldi per il soccorso, che poi salta fuori che era lì per lavoro, che non costerà nulla, ma ormai la caterva di insulti è partita, i social sono la cloaca dei nostri risentimenti, gli auguri sono a salve, gli insulti sono proiettili veri, feriscono.

    “E venne bianco nella notte azzurra / un angelo dal cielo di Giudea / a nunziar la pace; e la Suburra / non l’udiva (…) e vide un fuoco e disse ‘Pace’ (…) e vide un tempio aperto, e dal sogliare / mormorò ‘Pace’; e non l’udì che il vento / che uscì gemendo e portò guerra al mare. / E l’angelo passò candido e lento / per i taciti trivi e dicea ‘Pace sopra la terra! / Udì forse un lamento…”. (Pascoli: La buona Novella in Occidente).

    Il lamento, appena sussurrato, scosso da un singulto, segnato da una lacrima, di chi è rimasto solo, dimenticato, abbandonato, in queste notti di sentimentalismi, più che di sentimenti, la tavola grande è sparecchiata, la casa vuota dove i passi sembrano avere il suono sordo di chi se n’è andato un giorno e l’uscio è rimasto chiuso, nessuno ha mai più bussato e non busserà neppure questo Natale e le nenie non trapasseranno i muri, rompendo il silenzio della solitudine.

    E sono solitudini, ma rancorose, anche le nostre, quelle dell’ognuno per sé, quelle dell’homo homini lupus. Alziamo gli occhi, gente, basterebbe anche un sorriso, rimettiamoci in cordata, senza scalciare. Buon Natale e buon anno davvero. E spero vi riesca.