Ci sono giorni in cui uno perde fiducia nella forza del ragionamento e si rifugia nelle metafore o, per scimmiottare uno che ha segnato la storia, nelle parabole. “Che gente va a mettersi con certa gente”, confessa Candice Bergen a Gene Hackman nel film “Stringi i denti e vai!” (che è titolo inadeguato per un film stupendo del ‘75) per giustificare il fatto di essersi intrufolata, in una gara massacrante a cavallo, solo per organizzare, lungo il percorso, l’evasione del marito (che poi abbandonerà), condannato ai lavori forzati. Insomma un’intrusa. Del resto in quella gara ognuno corre per motivi e interessi suoi, ma si corre sulla stessa strada, sugli stessi sentieri, si sgomita, si cade, si fa cadere, si spinge, si creano rivalità e alleanze che si capovolgono nel tempo, a volte ci si ferma a soccorrere gente che nemmeno si conosce, altre volte si viene soccorsi, ci si incontra e ci si scontra.
La prendo alla larga: mi vengono in mente altre due citazioni. Una è la poesia-filastrocca del Re travicello, la storiella di Giove che, a fronte di una richiesta delle rane dello stagno di avere anche loro un Re, butta giù un pezzo di legno (travicello) che galleggia sull’acqua e non fa niente, ecco il vostro re. Quelle, offese, se la prendono con Giove che risponde: “Volete il serpente che il sonno vi scuota? O gente impotente, per chi non ha denti, è fatto a pennello un re travicello”.
L’altra è quella della vecchietta di Siracusa che pregava perché il tiranno Dionigi “crudelissimus civitatis tyrannus” vivesse a lungo e quando lui stesso, sorpreso, le chiede il perché, risponde: “Un tempo governava Siracusa uno così così e io non ero contenta, pregavo per il cambiamento. Poi ne arrivò uno molto più crudele e io pregavo perché morisse presto e ci fosse un cambiamento. Ma poi sei arrivato tu, malvagio e crudele. Quindi spero tu viva a lungo perché ho paura del cambiamento, ho paura che dopo di te ne arrivi uno ancora peggio”.
Ogni riferimento al presunto (e abortito, almeno per ora) governo del cambiamento è ovviamente intenzionale.
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Mettiamola in parabola. Il figlio del vostro vicino di casa ha fama di essere uno che spende e spande, vive al di sopra delle sue possibilità, ha debiti con tutti, ogni tanto rimborsa, ogni tanto ritarda, ogni tanto bisogna tirarlo per la giacca per farsi dare almeno un acconto. Non ha mai lavorato un giorno in vita sua, vive di espedienti. Ma ha un grande seguito con gli amici del bar dove sta a pontificare tutto il giorno. A voi deve una montagna di soldi. Un giorno vi vengono a dire che al bar ha alzato la voce, parlando male di voi, “gliele vado a cantare io a quello lì, chi crede di essere, di farmi i conti in tasca? Sono padrone io in casa mia, o mi riduce il debito o non gli pago più niente. E guarda, la settimana prossima vado in vacanza a Ibiza, mi venga a dire qualcosa che mi sente…”. Il giorno dopo lo stesso deve pagare una rata alla banca (l’anno scorso ha fatto un mutuo per andare in vacanza alle Maldive) e viene con la sua faccia di tolla a chiedervi un prestito, un altro prestito per tamponare la situazione. A quel punto voi andate da suo padre e gli raccontate per filo per segno come stanno le cose. Il padre interviene duramente, gli annulla la vacanza, si impegna in prima persona perché il figlio cambi e si dia da fare per rimborsare i debiti.
Il figlio al bar dà in escandescenze, sono maggiorenne, faccio quello che voglio, cosa vuole quel rimbambito di mio padre, è succube di quelli che vogliono i miei soldi, certo lui ha sempre avuto il figlio prediletto in mio fratello, io sarei la pecora nera, gli faccio vedere io, gli faccio fare il tso (trattamento sanitario obbligatorio – n.d.r.) che almeno me lo tolgo dai piedi… Gli amici del bar, euforici, gli suggeriscono anche di minacciare di andar via di casa e dal paese, vedrai, gli dicono, si spaventano, capace che perfino il tuo vicino ti riduca il debito o almeno ti dia più tempo…
Il fratello “prediletto” nel frattempo ha messo su una piccola azienda, che va bene, anzi, ha bisogno di ingrandirsi, in banca ha chiesto un mutuo ma si è sentito rispondere che purtroppo alla sua famiglia la banca non presta più un euro fino a che suo fratello non è rientrato della sua “esposizione”. Fine della parabola.
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Qui habet aures audiendi, audiat: lo scrivo in latino perché se autarchia dev’essere, se alla lira si deve tornare, penso si debba orgogliosamente tornare anche alla “lingua madre”. Aspettandomi ormai che in un giorno qualsiasi dei prossimi mesi di propaganda elettorale salti su uno ad annunciare e promettere, tra le varie boutades, anche il ritorno dell’impero sui sette fatali colli romani.