La democrazia richiede cultura, dialogo, confronto, intelligenza e, certo, anche tolleranza e compromessi. Per disinnescare la democrazia senza pensare a colpi di mano (e peggio di Stato) basta abbassare il livello culturale, il “popolo bue” è una vasta e sicura risorsa per gli aspiranti “uomini soli al comando”. La cultura richiede informazione. Non ce n’è mai stata tanta, con i nuovi canali social. Sono una grande lavagna su cui ognuno scrive quello che gli passa per la testa, guai se la maestra vuole intervenire, “è la censura dei poteri forti”, ognuno deve essere libero di dire e scrivere quello che vuole, “è la democrazia”. No, non è la democrazia, per parlare, come per votare, dovrebbe valere la regola ecclesiastica che fissa le condizioni per ricevere l’eucarestia: la prima è “sapere cosa si va a ricevere”. C’è stata qualche timida e imbarazzante proposta in merito, subito bollata come “fascista” (in realtà sull’esempio di quanto si prevedeva un tempo: la prova di saper leggere e scrivere): quella di una sorta di esamino per aver diritto al voto, tipo “per cosa vado a votare?”, magari un quiz a crocette, in modo da evitare quello che è successo a un seggio dove una signora chiedeva come mai non trovava il nome del “suo” candidato a sindaco e si è sentita rispondere che si votava per la Regione, e a quel punto la suddetta non aveva la minima idea di come e chi votare. Ma ha comunque votato.
Una massa incontrollata di informazioni ottiene l’effetto valanga, travolge i pensieri, viola il principio di non contraddizione, confonde, suscita rabbie e rancori, solletica insulti e le smentite arrivano che è già tutto finito, con l’effetto di essere prese, quelle sì, come fake news, false notizie.
La cultura esige fatica ma è proprio sulla cultura che non si spende più un euro. Ci riconosciamo perfettamente in chi abbiamo eletto, anzi, li abbiamo eletti perché sono al nostro (basso) livello culturale.
Se c’è gente che non sa neppure per che cosa va a votare, la democrazia è in balia della demagogia, basta che uno prometta di cacciare tutti quelli che c’erano prima, colpevoli di tutti i mali secolari del paese, della regione, della nazione, del mondo intero e tutto è risolto.
Non essendo sopravvissuto nessun progetto di società alternativa al capitalismo, l’unica promessa spendibile è quella di farci arricchire. No, non si tratta della redistribuzione della ricchezza, roba da comunisti, figurarsi, è dilagante l’idea che “i soldi ci sarebbero” solo che “li hanno rubati quelli che c’erano prima”.
“Sono tutti ladri” oggi vale per chi c’era prima. Domani varrà per chi è venuto dopo e non avrà regalato la felicità a nessuno. Ma siamo anche il paese del panem et circenses. Per ricordarlo (e temo anche per tradurlo) bisogna avere cultura. “Elimineremo la povertà” ha detto uno del governo. L’altra domenica il vangelo raccontava di quel tizio che vuole andare in paradiso, è onesto e osserva i comandamenti ecc. Gesù gli dice di vendere tutto quello che ha e darlo ai poveri “perché è più facile che un cammello (che poi non era un cammello perché “Camel” era una grossa corda per le barche, sbagliata la traduzione) passi dalla cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli”. Ma se Di Maio fa il miracolo di eliminare i poveri, non solo non ci va la mitica classe operaia del film, ma nessuno va più in paradiso.