Quando sento gente che rimpiange il “prima”, della serie “si stava meglio una volta” o peggio con lo sberleffo al principio di non contraddizione con il “si stava meglio quando si stava peggio”, cedo alla tentazione di rispolverare la storiella della vecchietta di Siracusa. “Syracusis anicula deos cotidie obsecrabat ut Dionysius, crudelissimus civitatis tyrannus, incolumis sempre esset diuque viveret”. Sul mio sussidiario delle elementari non era in latino ma già alle medie (non ancora “riformate”) sapevamo tradurre senza troppa fatica. Una vecchietta di Siracusa ogni santo giorno pregava gli Dei perché Dionisio (Dionigi), tiranno crudele della città, potesse vivere in buona salute e a lungo. Il tiranno, che aveva orecchie dappertutto, lo venne a sapere. Secondo un’altra storia infatti fu l’inventore della grotta dove teneva i prigionieri e lui, o chi per lui, in un anfratto superiore, poteva sentire (non ancora registrare) i loro discorsi: da qui il detto de l’Orecchio di Dionisio”. Fatto sta che la vecchietta si trova davanti al tiranno che gli chiede curioso da cosa derivassero quelle sue preghiere perché gli Dei lo conservassero a lungo. E quella rispose: “C’è stato un tempo in cui Siracusa era in mano a un tiranno ingiusto e io pregavo gli Dei che morisse presto. Quando morì però ne arrivò uno ancora più crudele e allora pregavo ancora di più che morisse. Ma poi sei arrivato tu che sei il più crudele di tutti. Per questo prego che tu viva a lungo perché temo che dopo di te ci capiti un tiranno ancora peggiore”. Tam facetam libertatem Dionysius non punivit atque aniculam dimisit.Insomma Dionisio apprezzò la sincerità della vecchietta e la lasciò libera (il che era un’eccezione non da poco, visto il personaggio).
L’aneddoto non è edificante, sancisce la rassegnazione al peggio e alla conservazione del meno peggio. Bisognerebbe affrontare il tema del bene e del male, nel corollario del “male minore” (un filosofo ha definito il male un “bene minore”). Ma questo non è il tempo della filosofia (e nemmeno della teologia). Se un tempo il “sovrano” rivendicava la legittimità del suo potere da un intervento divino (Napoleone si mette la corona ferrea dicendo “Dio me l’ha data, guai a chi la tocca”), adesso gli attuali “sovranisti” si appellano a un generico popolo, arrivando a estendere la parte (che li ha votati) al tutto. Nella storia le vere rivoluzioni non sono state fatte dai “popoli”, sono sempre state minoranze “illuminate” a lanciare le idee che le masse, sapientemente indotte, hanno poi seguito, magari non capendo realmente dove si andava a parare (o a finire), ma seguendo l’ondata di ribellione generica, ognuno con delle proprie ragioni, ognuno con delle aspettative diverse e spesso opposte che solo occasionalmente sono confluite in un gesto corale di distruzione dello statu quo. La pars destruensfacile, la pars construens rimandata all’infinito per non far esplodere le contraddizioni che stanno nella pancia della massa. E’ come trovarsi di fronte a un ecomostro, tutti d’accordo nell’abbatterlo, poi però cominciano i distinguo o le liti sul cosa mettere al suo posto in quanto ognuno aveva un’idea diversa e adesso la vuol fare valere. E il grande movimento della massa che lo ha demolito si sfrangia in mille rivoli, rivali, ferocemente divisi sul “che fare”. Per questo chi ha conquistato il consenso solo con la pars destruens si guarda bene dal proporre la successiva pars construens, per non veder frantumato quel consenso di massa.
Le masse, i popoli, sono “manovrabili”, a volte con bisogni indotti (è il meccanismo della pubblicità), spesso con paure altrettanto indotte che distolgono dai bisogni e dalle paure fondate.
La vecchietta di Siracusa, con la sua ironia rassegnata, almeno sapeva riconoscere i segni e perfino le gradazioni della tirannia.