Si vive la breve e bella estate da… villeggianti in “casa propria”, stranieri in terre che erano nostre e che non riconosciamo, frugando nel sottobosco alla ricerca di radici (sociali e culturali) che non ricordiamo più dove cavolo le aveva piantate chi ci ha preceduto. Come il vecchio becchino del mio paese che solo lui sapeva dov’era sepolta la gente, al tempo in cui non c’erano le lapidi e solo le croci della vita e della morte e, quando è morto lui, nessuno sapeva più dove erano sepolti i parenti. Abbiamo perso da qualche parte la nostra identità e però ci hanno detto che non è colpa nostra, è colpa di chi è arrivato da noi che ci ha fatto perdere le nostre radici di popolo “uno d’arme, di lingua e d’altare”, insomma è colpa dei musulmani se non andiamo più a Messa, è colpa loro se l’inglese ormai mortifica l’italiano e il nostro non è mai stato un “addio alle armi” che non abbiamo mai avuto dimestichezza né voglia che quando ci hanno detto “armiamoci e partite” ci siamo cascati una volta e non è il caso di ricascarci.
E’ la legge del contrappasso, abbiamo cancellato il passato, siamo costretti a vivere come fossimo tornati punto e a capo, come avessimo voltato pagina senza aver letto e tanto meno studiato quello che qualcuno aveva scritto nelle pagine precedenti, e pensare che sulle quelle pagine ci hanno scritto i nostri nonni e i nostri padri, senza andare a scomodare le guerre puniche che sarebbero piaciute a Salvini per aiutare i cartaginesi a “casa loro” ecc. Adesso c’è solo cronaca, che non sappiamo nemmeno scrivere decentemente i pensierini, figuriamoci scrivere una pagina di Storia con la esse maiuscola.
Il passato sembra roba riservata a quei pensionati seduti fuori dal bar a giocare a carte, che rimandano con tutte le scuse il momento di tornare a casa, che i figli e i nipoti sembrano parlare un’altra lingua e ignorare l’altare delle “memorie” attaccate al vetro della credenza, che hanno rinnovato tutto quando hanno buttato via i mobili, troppo vecchi, e adesso c’è la cucina moderna che il vecchio non trova mai la bottiglia della grappa e tanto meno le immaginette dei suoi morti e per questo succede che i vecchi fingano a volte di essere più sordi di quello che gli ha diagnosticato il “dottore”, che anche lui gli ha detto che è la vecchiaia e non vale nemmeno la pena prescrivere medicine, “la vecchiaia caro mio è una malattia incurabile” e tanto non lo capiscono e nemmeno lo capirebbero più questo modo di stare al mondo e a cena “quelli” stanno lì con il telefonino acceso, mangiano e se gli chiedete cosa hanno mangiato, un attimo dopo non se lo ricordano. Coniughiamo solo il presente indicativo, già il passato prossimo è abolito.
Sarebbero i vecchi i custodi del passato ma nessuno viene più a chiedergli di raccontarlo, che “sei noioso, è sempre la storia di quando c’era la fame e adesso hai il frigorifero pieno”.
E la nostra pagina bianca, quella del punto e a capo, resta bianca, che non sappiamo usare più nemmeno la biro e allora il vecchio lì ha cominciato a raccontare la solita storia di quando usava il pennino e l’inchiostro e… “va beh, nonno, adesso c’è il computer”.
I vecchi guardano su in cima alla collina, là dove stanno altri vecchi, dentro quel casermone che sembra il terrore atavico di Padron ‘Ntoni (I Malavoglia) che all’ospedale ci si fa portare solo quando capisce che è tagliato fuori da tutto e dà fastidio e morirà fuori casa, che è la peggiore condanna per chi quella casa ha costruito.
E quando tutti se ne saranno andati, avremo una pagina bianca e sfogliando a ritroso non troveremo più niente, i vecchi si saranno portati via la loro storia. Punto e a capo. Ma punto di che se non abbiamo scritto nemmeno una riga…
Buona villeggiatura.