C’è un’aria di vigilia, aria rarefatta, non ci aspettiamo granché. Che è una sorta di epitaffio sulle speranze. Un’Italia che ha ripiegato sul fai da te. Le facce sui manifesti (pochi a dieci giorni dal voto) sorridono, promettono ma non programmano. A chi come me ha respirato l’aria del dopoguerra, questa sembra aria malata. Certo, non ci sono più ideologie che nel contrapporsi tenevano vive le speranze, addirittura le utopie, per un mondo che si rimboccava le maniche per ricostruire dalle macerie. Ci si scontrava anche allora, ma per un progetto, liberalismo e socialismo, con le malattie infantili (definizione di Lenin) dell’estremismo, fascismo e comunismo. Oggi lo scontro è gratuito, a salve, per un puro rapporto di forza (anche fisico, purtroppo), si sta diffondendo la voglia di menare le mani, il confronto è già faticoso, figuriamoci l’incontro, la semplificazione porta agli slogan, ti promettono in pratica meno tasse nel senso del meno Stato, meno comunità, ognuno per sé, nessuno per tutti. E in mancanza non dico di un’ideologia, in mancanza di un’idea, anche piccola, mandano falsi bersagli come i sottomarini d’antan per sfuggire al nemico, che è lo straniero, in un mondo globalizzato dove siamo tutti stranieri, anche al vicino di casa. Non hai paura? Dovresti. E vai con gli scenari apocalittici di invasioni del tuo orto. E’ il contrario di quello che fanno i nostri imprenditori, piccoli o grandi che siano, che cercano sbocchi di mercato ben oltre le valli, ben oltre i confini immaginari di una provincia o di una regione, fanno affari con l’intero mondo, senza pregiudizi, pecunia non olet. Invece il messaggio sociale e politico è proprio l’opposto, chiudiamoci a riccio, alziamo barricate, muri e nel piccolo perfino siepi. Che fare? Andiamo a mettere delle croci addosso a gente che le chiede col sorriso, mettimi una croce sul simbolo del partito, sul mio nome, e ti garantisco che potrai vivere nel recinto di casa tua tranquillo, al resto ci pensiamo noi, fermando con un dito l’esodo epocale di popoli in fuga dalla miseria e dai genocidi, o semplicemente attratti dal benessere che ostentiamo.
La democrazia è faticosa, perfino il revival fascista non ha la dignità che pure aveva, nella feroce contrapposizione ideologica, quello originario. E’ pura esibizione di forza fisica, senza un progetto, anche contestato, di società. Perché per noi italiani vale sempre l’invettiva-poesia di Giuseppe Giusti con la metafora del Re Travicello che Giove manda nello stagno delle rane gracidanti e litigiose che pretendono un Re che faccia ordine. E’ un pezzo di legno e le rane insorgono, ma come, Giove ci manda come Re un “tronco piallato” che sta lì, galleggia e non fa niente? Ed ecco il finale: “Tacete, tacete / lasciate il reame / o bestie che siete / a un Re di legname. Non tira a pelare / vi lascia cantare / non apre macello / un Re Travicello (…) Volete il serpente / che il sonno vi scuota? (…) O bestie impotenti / per chi non ha denti / è fatto a pennello / un Re Travicello”.
Chi vuol essere messo in riga, non pretenda poi di rompere le righe (e le scatole).