“Chi ha detto: ‘tutto è arso totalmente / non ritornerà più il tempo della semina’? / Chi ha detto che la Terra è morta? / No, si è nascosta per un po’…”. (Vladimir Vysotsky, cantautore russo 1938-1980). Sorridono quasi tutti, nelle “memorie” del nostro inserto. I vecchi si aspettano di morire, certo, ma non così, soli, abbandonati in un ospedale. Padron ‘Ntoni ne “I Malavoglia”, da vecchio, chiede solo che non lo portino all’Albergo dei poveri: ma lo porteranno all’ospedale e quando torneranno per riprenderselo troveranno solo il letto col materasso arrotolato. Chi vi racconterà, dopo questa strage di vecchi, come nella canzone di Guccini (“Il vecchio e il bambino”), le fiabe della terra grassa rivoltata dall’aratro, delle distese verdi sotto le grandi chiese e i paesi con le case che si reggevano solidali spalla a spalla e bastava una voce per far correre al soccorso i vicini, delle scodelle di minestra lunga mandate a chi si sapeva che faceva la fame, del fieno rastrellato e portato in cascina cantando, delle belle estati passate sui sentieri che portavano al sole? Abbiamo infettato la terra e adesso la terra infetta noi. Stiamo seppellendo anche la memoria. Muoiono (rassegnati?) gli ultimi custodi della civiltà contadina, sepolta frettolosamente nell’illusione che fossero nati, con i computer, “cieli nuovi e terra nuova”, terra da sfruttare, da calpestare. “I nervi della Terra messi a nudo/ conoscono il profondo dolore / sopporterà tutto, aspetterà / tra gli storpi non mettere la Terra (…) la Terra è l’anima? / Non calpestarla con gli stivali”.
Davvero questa volta niente sarà come prima, anche se rinasceranno, gli amori saranno quelli del principio dell’umanità, non più contorti e infettati da perversioni e presunzioni. O forse no, che questo è il tempo del presente, che seppellisce il passato senza compianto e funerali. Adesso che servirebbe che qualcuno ci raccontasse come si poteva vivere e spesso solo sopravvivere strappando radici dalla terra, se ne sono andati tutti e noi ci scopriamo deboli, abbiamo vissuto come tutto ci fosse dovuto, sicuri che qualcuno, sul pianeta, pensasse a tutto e fosse capace di tutto (infatti) e abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità.
La terra ci sta scuotendo di dosso, siamo gli unici esseri viventi che l’hanno sfruttata e disprezzata, prendendo alla lettera (solo in questo) quanto sta scritto: “E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra»” (Genesi I-26). E allora eccoci lì a sgomitare, ad abbandonare sul ciglio della strada quelli più deboli, i vecchi, in quanto improduttivi e sorpassati, parcheggiati nelle case di riposo che sono diventate le case del loro eterno riposo.
Dio non c’entra, ci ha lasciato il libero arbitrio: la nostra generazione si è illusa di andare su altri mondi, il pianeta terra ci stava stretto. Ed ecco che ci siamo liberati della zavorra del passato.
“Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano passati, e il mare non c’era più” (Apocalisse – 21). Dai nostri balconi guardiamo il cielo di aprile. Si sente solo l’abbaiare dei cani e ancora di tanto in tanto quella maledetta campana a morto. Che non suonerà, per tradizione, il venerdì santo. E suoneranno a festa la notte del sabato santo, annunciando la resurrezione e al tempo stesso la nostra sopravvivenza. Usque tandem?
Sui prati le primule sono rifiorite e l’erba verde sta ricrescendo: la terra che si era nascosta per un po’ ci dà un’altra possibilità, quella di un’altra primavera. Torna “il tempo della semina”. Per ricominciare aspettiamo il ritorno delle rondini, l’uccello “supplice” che cerca conforto sotto il tetto degli umani, ma è un animale libero che non ha lingua (e quindi non si cura di frontiere e confini), si ciba in volo e gira intorno ai campanili, un segno pasquale per tradizione iconografica, e, soprattutto, sta lontano dai pericoli. Il suo ritorno sarà dunque il segno che tutto sta per finire. Ma se ricominciassimo da dove e come ci eravamo lasciati, sarebbe l’ultimo sberleffo alla memoria.