No che non è andato tutto bene come ci auguravamo tutti all’inizio. E’ sopito anche lo spirito di appartenenza, troppi morti, troppa paura, non si sente più cantare sui balconi, tutti rintanati in casa a reinventarci la vita, a chiederci cosa faremo, cosa e come saremo “dopo”, posticipando ogni giorno quel “dopo” che sembra non arrivare mai. Un’altra sirena di ambulanza, è stato portato via il tale, ma stava bene, certo che stava bene, è in ospedale anche la signora che passava tutte le mattine o quella che si incontrava al bar, un’altra campana a morto e quei numeri impietosi che ogni tardo pomeriggio sembrano una mazzata sulla speranza che tutto passi all’improvviso, che quel maledetto se ne vada com’è venuto. Il “dopo” non è neanche oggi, sarà domani.
Ognuno dice la sua, ognuno ha le sue lamentazioni che si passa da terrazzo a terrazzo con quelle maledette mascherine che ci manca il respiro e ci si sente contagiati senza esserlo, che tanto i tamponi non ci sono e si resta lì a sentirsi addosso un dolore nel corpo che si confonde con quella dell’anima.
Ecco, ancora la sirena e la signora che passa lentamente con la borsa e la chiesa con il portone spalancato e i parroci che cercano anche loro di inventarsi una pastorale da segregati, quelle Messe solitarie che mi viene in mente don Camillo il giorno della grande alluvione del Polesine che predica nella chiesa vuota allagata e la sua voce rimbomba e arriva sugli argini.
Certo, alla fine chi ce la farà si ritroverà sugli argini e ci conteremo e mancherà sempre qualcuno, ti ricordi? Oh, sì, era sempre allegro, le sue battute fulminanti e l’altro che tifava per la squadra nemica e ci si prendeva in giro, anche a lui quel maledetto gli ha mangiato i polmoni, invece a quell’altro gli ha mangiato il cuore e ancora a un altro il fegato, è una bestia che ti divora dentro e poi il premio Nobel che dice che non è un virus naturale, l’hanno creato in laboratorio e lui può dimostrarlo e poi dice una cosa consolante, “la natura non sopporta a lungo ciò che è innaturale” e quindi se ne andrà. E però viene il dubbio che si sia noi a essere diventati innaturali.
E si torna a pensare al dopo, a cosa faremo, a cosa saremo diventati e ricominciano le lamentazioni che sembrano quelle di Geremia profeta, bisognava fare, bisognerebbe fare e intanto i giorni passano, qualcuno non arriva più alla fine del mese, il lavoro che non c’è più, l’affitto da pagare, la spesa da fare e quel “dopo” che non arriva mai.
Siamo ancora qui con la nostra paura che nessuno capisca come si cura, che il vaccino non lo trovano, tutti gli scienziati a provare e non trovare e allora forse bisognerebbe tornare a pregare, ma la tentazione dell’ognuno per sé e nessuno per tutti diventa forte, hai sentito, stava bene, abbiamo scherzato quattro giorni fa, era grande e grosso e stava bene, chissà dove l’ha preso, chissà come si prende e… telefona a sentire se sta bene la zia che non la sentiamo da giorni e… tu hai fatto i compiti che domani hai la verifica a distanza?, ma forse l’anno vecchio (scolastico) è finito ormai ma qualcosa ancora qui non va, come dice la canzone e non si capisce nemmeno se vale la pena studiare la seconda guerra mondiale che la terza, aveva detto uno, la si combatterà con le clave, ma eccola qui, no, non dite che è una guerra, in guerra almeno il nemico era dall’altra parte, domani assalto, ma poi si tornava, se si tornava, in trincea, tra amici, qui il nemico è dappertutto, te lo trasmette l’amico, il parente, non sai da dove arriva e quello che in diretta dice che c’è una buona notizia, sono calate le terapie intensive di tot e il tot poi ti accorgi che corrisponde al numero dei morti e allora capace che nemmeno quella sia una terapia che salva, ad alcuni va bene e non si sa ancora perché e aumenta la paura dell’incognito, hodie mihi, cras tibi,oggi a me domani a te.
Ecco anche oggi è finita, domani è un altro giorno si vedrà. Magari domani comincia il “dopo”.