(p.b.) Racconta Plutarco (o era Cornelio Nepote?) che Aristide, grande politico ateniese ai tempi di Temistocle, il giorno in cui la folla, chiamata nell’Agorà, stava decretandogli l’ostracismo, si vide avvicinare da uno che gli chiese, visto che lui non sapeva scrivere, se glielo scriveva lui sulla tavoletta di coccio il nome di Aristide. E lui: “Ma tu lo conosci questo Aristide?”. “No”, gli rispose quello. “E perché vuoi mandarlo in esilio?. “Ma perché sono stanco di sentire in ogni angolo di Atene quanto è bravo, quanto è giusto questo Aristide. Mi sono rotto le scatole di sentirmelo dire…”. E allora il grande ateniese gli prese il coccio e gli scrisse sopra “Aristide”. Magari non fu quello il voto determinante che lo condannò, come in effetti avvenne, all’esilio, ma certo fu un gesto d’altri tempi. Chiosa sconsolata di Aristide: “Che fine farà Atene con gente che vota senza sapere perché e cosa vota?”.
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Ciao, come va? E’ una mattina come tante altre, si sbarca il lunario come si può. A sorpresa mi risponde che va bene, il mercato si è ripreso, la sua azienda adesso va bene, dopo anni di patemi. Ma non avevano detto che era un bluff, che siamo ancora in piena crisi? Mi indica un tizio che passa di lì, vedi, quello sta cercando un capannone da diecimila metri quadri, non ce la fa più a star dietro alle commesse (che non sono gentili signorine, in questo caso). Va be’, una cosa così mi cambia la giornata. Leggo i titoli dei giornali, uno diverso dall’altro, tengono botta Corriere e Repubblica, gli altri fanno titoloni provocatori: visto il crollo delle vendite dei quotidiani, si direbbe che sono canti del cigno, se non fossero cornacchie. Non ci si capisce più niente. Parlo con un’amica che sta in parlamento, stanno come le foglie d’autunno sugli alberi. D’Alema è uscito dal gruppo (Pd), Bersani pure, cos’è la destra, cos’è la sinistra? Torna la canzone di Gaber. E siccome i vecchi rimuginano su esperienze sentite o vissute, torna in mente la spaccatura tra massimalisti e riformisti nel partito socialista con la nascita del partito comunista. Reduci di battaglie perse nella storia, ecco il sussulto massimalista di “comunisti col rolex” (by Fedez e J-Ax). Bersani che in una cena dalle nostre parti si era lasciato andare: “Non mi chiamano più nemmeno per chiedermi come sto”. Dietro i piccoli e grandi gesti della storia ci stanno le personali debolezze, ambizioni e frustrazioni dei protagonisti. E per associazione mi torna in mente una crisi di giunta, che fece scalpore e portò alla rottura della maggioranza, in un paese delle nostre valli, fatta passare per dissenso politico e amministrativo, in realtà dovuta a una ruspante storia di amanti traditi.
I partiti da fucina di idee e programmi sono ridotti a contenitori di rifiuti, nemmeno tanto differenziati, dentro tutto nel sacco nero, rosso, giallo o viola che tanto va tutto in fumo nel grande inceneritore del tempo che ci è dato.
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“Dio ha bisogno degli uomini”. Deve essere vero, in fondo secondo la Bibbia ci ha creato perché si sentiva solo nell’universo. Ma gli uomini hanno ancora bisogno di Dio? Sento un prete che fa una analisi del mondo cristiano di oggi, “siamo passati dalla fede per forza alla fede per scelta”. Il riferimento è al fatto che fino a qualche decennio fa si era cristiani per eredità, per contesto, per abitudine. Era scontato esserlo, si “doveva” esserlo per stare in sintonia col paese. C’era qualche miscredente, additato al pubblico ludibrio, senza voce in capitolo, condannato a fare il bastian contrario. Oggi “liberi tutti”, chi è cristiano lo deve essere per “scelta”. E il prete invita i genitori a far “fare” ai figli quella scelta (che è già una contraddizione, una scelta indotta o imposta) e prima ancora a farla loro per primi, per dare l’esempio, andando a Messa la domenica.
Ma uno sceglie se è “costretto” (per forza) a farlo. O se ha “bisogno” di fare quella scelta (i disperati, che invocano interventi miracolistici o si affidano ai “gratta e vinci”). Oggi gli uomini non hanno bisogno di Dio, quorum Deus venter est, il dio di questi tempi è il benessere, i soldi, la carriera, il successo, la notorietà. Hic et nunc, qui e ora. Ma è un dio che suscita scontento, siamo sempre a sgomitare ma inconsapevolmente siamo alla ricerca di un “perché”. Ecco, prima di sollecitare una “scelta” (e di chiedere o addirittura pretendere che si vada a Messa), bisognerebbe far riemergere quel bisogno di un “perché”.
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Ah, dopo i casi di Fini e Scaiola, ignari intestatari di appartamenti, dopo il tormentone dei (tre) casi dell’assicurazione “a sua insaputa” della sindaca Raggi e quello (clamoroso) della mamma di Massimo Bossetti che a suo dire, per giustificare quei figli avuti dal Guerinoni di Gorno, sarebbe stata inseminata “a sua insaputa”, a questo punto, se ho scritto qualche bestialità, sia chiaro, “l’ho fatto a mia insaputa”. (p.b.)