Nel diario che si scrive (idealmente) ogni anno, a fine agosto si fa punto e a capo. Perché “non si lavora Agosto, nelle stanche tue lunghe oziose ore / Mai come adesso è bello inebriarsi di vino e di calore…”. Poco vino, qualcuno che in cortile la sera cantava in compagnia le canzoni d’antan, le uniche ancora orecchiabili e cantabili, nel coro della speranza che tutto sia finito, che questo anno horribilis finisca alla svelta, a costodi gettarci nelle nebbie di un autunno da cui non ci aspettiamo niente di buono. E poi ilsettembre che nella canzone di Guccini era il “mese del ripensamento”, ma anche, per chi ha fatto le vecchie scuole, del dannunziano “settembre andiamo è tempo di migrare”, che sta per ricominciare il tran tran della vita “normale”. Citazioni ormai datate, di un secolo perduto nei sogni e nelle illusioni, spesso nelle utopie di cambiare il mondo per poi rassegnarsi trasformando i sogni in nostalgie, che sono sintomi di vecchiaia, ma datate anche per quello che ci ha travolto e non passa, no che non passa, perdinci.
Quindi quest’anno non ci sarà un punto e a capo, massimo un punto e virgola, le stagioni azzerate e non in senso climatico, la bella estate che abbiamo tentato di passare come niente fosse successo, e“ti siedi e pensi e ricominci il gioco della tua identità”e allora fin troppo spesso “come scintille brucian nel tuo fuoco le possibilità”.
C’è una continuità inedita e fastidiosa, il passato prossimo ci rincorre, non è mai finito niente.
E c’è anche uno strano fenomeno: le chiese vuote e non solo per la pandemia, sono rimaste vuote nel momento del bisogno. I nostri vecchi nella disgrazia si attaccavano alla fede, ma come si dice in quello che raccontiamo nelle pagine dedicate ai suicidi, “loro l’avevano, la fede”. E noi? I santuari che sono sempre stati stelle polari della fede, dove andare a chiedere le “grazie”, sono rimasti chiusi. Per decreti, ordinanze, certo, ma nulla avrebbe impedito che ci fossero “pellegrinaggi” anche rispettando le distanze. “Loro avevano la fede”, il verbo è all’imperfetto che è già “passato”. E noi?
La Chiesa è stata travolta dall’evento come altre istituzioni, impreparata, colta di sorpresa. Chiesa sta per “eccleṡìa”che nell’antica Atene significava assemblea popolare, una sorta di referendum in diretta che doveva decidere se una legge andava bene o andava abolita (come siamo chiamati a decidere anche noi tra qualche settimana). Se non c’è il popolo, senon c’è assemblea, non c’è “eccleṡìa”,la “Chiesa” stessa diventa ossimoro, contraddizione in termini.
Non è colpa della pandemia, già prima si segnalava il fenomeno delle chiese (con la c minuscola) vuote. Ma adesso sembrano ancora più deserte, abbiamo chiesto le “grazie” a qualche altro “santo” che ci sembrava più attrezzato e competente in materia, che ne sanno in paradiso del Covid?, che anzi a qualcuno è venuto il sospetto che sia addirittura un castigo divino e allora più che chiedere grazie tanto varrebbe invocare pietà signor dei miseri: non che ci siano arrivate, quelle grazie chieste ai professionisti della sanità, alla scienza che annuncia vaccini per chissà quando… Anzi, visto come sono andate le cose, forse abbiamo sbagliato anche questa volta“santoausiliatore”.Perché anche la “fede” nella scienza ha subito forti contraccolpi. Delle tre virtù teologali coltiviamo ancora, con qualche timore,solo la speranza, anche solo per non ridurci, come Alessi ne “I Malavoglia”, a dire: “Allora lasciatemi piangere”.