La scuola, il calcio. Spesso coincidono nelle stesse persone, a livello giovanile. Mentre non si è capito chi abbia ragione nella vicenda partenopea e per il mancato volo (nemmeno pindarico) a Torino, i campionati giovanili proseguono e cominciano: ragazzi che entrano ed escono con mascherine d’ordinanza nelle aule, in alcune scuole mantenute in faccia per cinque ore (e sono gli edifici più nuovi quelli che non garantiscono distanziamenti, sia in larghezza che in altezza), poi nel pomeriggio vanno ad allenarsi in campo, bastano le “autocertificazioni” che magari i genitori firmano a salve, perché se il ragazzo risultasse davvero positivo rischiano di dover stare in quarantena, a casa dal lavoro, anche loro.
E davvero sta arrivando la seconda ondata e, come all’inizio della prima, in fondo crediamo non arrivi davvero, a dispetto dei numeri, anche perché dalle nostre parti la tragedia l’abbiamo già vissuta alla grande, dovremmo avere quella mitica “immunità di gregge” di cui cianciava il premier inglese prima di essere ricoverato per contagio. Adesso, come a teatro al tempo dei tempi, dopo la rappresentazione cruenta della tragedia, vorremmo farci una risata, finalmente, con la farsa. E invece a quanto pare ci tocca sorbirci il secondo atto.
E i morti sembrano vittime già di serie B e perfino le sirene delle autoambulanze non spaventano più di tanto. “Quando alle nostre case la diva severa discende / da lungi il rombo della volante s’ode” (Mors – Carducci – in occasione dell’epidemia difterica del 1875).
Poi si sente un comico, Montesano (un altro comico!) che organizza la “marcia della liberazione” dei negazionisti, quelli che non vedono e non sentono, quelli del complotto dei poteri occulti per “sfoltire la popolazione in eccesso”, quelli che “il virus è un’invenzione per limitare la nostra libertà”.
Libera nos a malo… “da morte nera e secca, da morte innaturale/ da morte prematura, da morte industriale (…) da tutti gli imbecilli d’ogni razza e colore / dai sacri sanfedisti e da quel loro odore… libera libera nos Domine”(Guccini).
Poi sento uno pontificare al bar: “E’ un complotto dei Templari e degli ebrei”. E mi va di traverso il caffè, su che basi puoi metterti a discutere con uno che al banco di buon mattino vaneggia per sentito dire, perché la storia dei templari deve averla orecchiata o gli è rimasto un rimasuglio del “Codice da Vinci”, il film, dubito abbia letto mai un libro, miscelato nella memoria confusa a qualche frase del Mein Kamf.
C’è lì uno che ha perso suo padre: lo guarda con una sorta di pudore trattenendo il dolore.
Imperterriti i giornali e i Tg snocciolano bollettini di una guerra che non finisce, contagiati, terapie intensive, morti. I grandi della terra che anche loro subiscono l’onta del contagio, come la peste che non risparmiava i signori del tempo, don Rodrigo che va a morire nel lazzaretto e fa perfino compassione a quello che ha perseguitato per anni, Renzo Tramaglino. La nuova peste non fa distinzioni, una giustizia sommaria: “Invecchian ivi ne l’ombra i superstiti, al rombo / del tuo ritorno teso l’orecchio, o dea”.
Dove per Carducci “dea” è la morte, perché Papa Francesco nega sia un castigo divino, Dio ci lascia liberi di rovinarci con le nostre mani, di segare l’albero (il pianeta) su cui siamo seduti. Già, gli alberi: “immobili quasi per brivido gli alberi stanno / e solo il rivo roco s’ode gemere”.
Pessimismo, certo. Per un pezzo avevo perfino creduto a quella sorta di profezia utopistica: “una risata vi seppellirà”. Qui a seppellirci sembra solo la stupidità. E non fa nemmeno sorridere. Libera, libera nos Domine.