“Iam satis”, adesso basta! Ci sono albe striate di rosso in questo inizio di febbraio (“E di colpo venne il mese di febbraio / faceva freddo in quella casa…” – Battiato) che fanno sperare che il mondo riprenda il suo corso. Normalità, gente, leggerezza! “Per l’allegria / il nostro pianeta / è male attrezzato” (Majakovskij). Bisogna rivangare nel passato, affidarsi a vaghi ricordi per trovare spunti di speranza, “c’è stato di peggio”, “dimmi quando c’è stato”, “al momento non mi ricordo”, “ah!”.
“Iam satis terris nivis atque dirae / grandinis misit Pater et (…) terruit urbem / terruit gentes…” (Orazio), basta, l’ira del padre Giove si è abbattuta sulla città con tempeste, bufere (ed epidemie) e ha terrorizzato la gente.
Non prendetevela con questi politici (panorama desolante, sconfitti, tornano i “tecnici” nell’evidenza della loro incapacità), vi fate cattivo sangue per nulla, li abbiamo votati ed eletti noi, “non recriminate su di loro ma su di voi e sui vostri figli”, per parafrasare una frase evangelica. Già, i figli. Che sembrano e si sentono a volte “figli di nessuno” come nella vecchia canzone alpina “ma se c’è qualcuno che ci sappia comandare e dominar – figli di nessuno anche a digiuno sappiam marciar”. Oggi quel passaggio del “comandare e dominar” è statosostituitoin “ben guidare”, per evitare riferimenti al fascismo. “Si stanno spegnendo” scrive in un post-lettera una professoressa, l’inverso della famosa “lettera a una professoressa” di don Milani che mise in discussione la scuola gentiliana che generazioni di alunni (quorum ego) avevano preso come immutabile e incontestabile. Ma di immutabile non c’è nulla, come disse Brecht “anche se innumerevole era l’Armada salpando, le navi che tornarono le si poté contare”. Sia lode al dubbio che a scuola non è ammesso per principio perché cadrebbe l’autorità (ma non l’autorevolezza) degli insegnanti. Che, come scrive la loro collega, hanno la fregola delle “verifiche”. Cosa ci sia da verificare nel mondo immobile in cui li abbiamo fatti piombare, sarebbe perlomeno da discutere. Prima di tutto se non gli stiamo rubando vita, se appunto non li stiamo spegnendo. E al diavolo il programma ministeriale.
Mi raccontano della “modalità freez”. Suppongo sia sconosciuta alla maggior parte dei lettori (e dei professori). Nella scuola a distanza con lo schermo del computer popolato di icone, gli studenti più scafati, per evitare la noia di lezioni interminabili ex cathedra, rendono fissa (“ghiacciata”) la loro immagine, fanno altro, ogni tanto cambiano la faccia, risultano presenti e attenti pur essendo assenti e in tutt’altre faccende affaccendati. Si difendono.
Poi uno di questi giorni gelati un gruppetto di ragazzi si dà appuntamento sul prato del santuario, sole tramontato, il freddo di fine gennaio, il pallone che rotola e loro che ritrovano il gusto del tirar calci a quel mappamondo che sa ancora alleggerire pensieri e paure, in fondo è semplice, la regola è farlo passare tra due pali improvvisati da due felpe… Ridono, gridano, corrono. E’ la rivincita sul lungo isolamento che gli ha tolto un anno di aria, che ha rischiato di spegnerli nel momento in cui la fiamma era ancora incerta cercando in alto qualcosa che somigli alla felicità.
L’hanno ritrovata. Per un’ora. Poi è di nuovo scesa la notte. E la mattina dopo… verifica! (di che?).