Sulle nostre certezze del vivere incombono le incertezze del sopravvivere indotte dalla natura che ha corsi e ricorsi millenari, se intacchi i suoi equilibri prima o poi se li riprende. Non esistono “montagne assassine”, la materia non ha sentimenti né risentimenti. Sulla zona a lago si sono abbattute, una dietro l’altra, la meningite, la pandemia del Covid, adesso la minaccia di una gigantesca frana che toglie il sonno. Una spada di Damocle sulle teste di chi ha casa in riva al lago dove i confini sono fittizi, riva bergamasca, riva bresciana, “la riva bianca la riva nera”, non è sull’acqua che passa la frontiera della canzone.
E anche “Se la paura di guardare / Vi ha fatto chinare il mento (…) Anche se voi vi credete assolti / Siete lo stesso coinvolti”direbbe De André. E’ sempre colpa di qualcun altro, hanno scavato alla base, “è come togliere la carta in basso di un castello di carte”, ha detto l’esperto, ma noi e quelli prima di noi, zitti, ne va (ne andava) dei nostri soldi, chi se ne frega del futuro, noi usiamo sempre e solo l’indicativo presente. “E se credete ora / Che tutto sia come prima / Perché avete votato ancora / La sicurezza, la disciplina / Convinti di allontanare / La paura di cambiare / (…) Per quanto voi vi crediate assolti / Siete per sempre coinvolti”.
E adesso ognuno si coltiva la sua paura e quelli che se ne stanno fuori seguono la minaccia di quella frana come quando in tv fanno vedere disgrazie di gente lontana, forestiera sulla stessa madre terra, fiumi che straripano, frane che spazzano via le case, crolli improvvisi di edifici, voragini che si aprono sulle strade, ponti che crollano, gallerie che cedono… e noi ci sentiamo forti dei dolori degli altri, tanto “anche questa volta noi ne siamo fuori”, la compassione in fondo non ha costi, possiamo anche permettercela, ci fa stare meglio, “poveretti!”. Ma subito il presente incalza, via via menare e scaricare anche il condolore.
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Lo sdoppiamento della personalità, del partito (di lotta e di governo), delle menti (modeste) e dei pensieri (sto con chi grida di più e grido anch’io orecchiando lo slogan o parlo d’altro, per esempio di Barbara D’Urso) rincorrendo le voci e gli umori, e quindi sempre nella retroguardia di un esercito popolare che marcia in ordine sparso non si sa per dove e per quale conquista, una massa scomposta e composita priva di comandanti, dietro bandiere senza vento.
I presunti ed eletti “comandanti” stanno dietro, sono come le salmerie, al seguito dei sondaggi, “mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”, come in Ecce Bombo di Nanni Moretti che finisce con quelli che sulla spiaggia aspettano l’alba, in attesa del sorgere del sole (dell’avvenire) che però sorge dalla parte opposta, alle loro spalle (il passato).
Così in parlamento votano in un modo e appena fuori criticano quello che hanno approvato, sentendosi estranei a un governo di cui fanno parte, bisognerebbe fare, bisognerebbe cambiare, bisognerebbe disfare, riprendendo e ripetendo le frasi raccolte su facebook dai loro presunti elettori, sentendosi partecipi del malcontento cui non intendono e non sanno porre rimedio, tocca sempre ad altri andare avanti che a loro viene, se non da ridere, almeno da ridire.
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Per quel che conta sono d’accordo con il ministro alla Pubblica Istruzione Patrizio Bianchi: «Eh, no, se vogliamo chiudere le scuole in arancione allora voglio vedere chiusi anche i centri commerciali. Non è pensabile non far andare i ragazzi in aula e vederli poi assembrati fuori». Sto pensando di adottare questa frase e imitare Catone con il suo refrain senatoriale che concludeva ogni discorso (di qualsiasi argomento): “Ceterum censeo Carthaginem delendam esse”.