Si sente il profumo dell’estate, almeno speriamo sia quello, dovremmo saperlo ancora riconoscere, sembra lo stesso di “prima”, vorremmo fosse lo stesso, dai che questa volta ne usciamo, ci guarderemo allo specchio senza mascherina e ci troveremo segnati dalle rughe della paura e del dolore, faremo un gesto come di chi cancella la lavagna, e via, di nuovo là fuori come niente fosse, hanno riaperto bar, ristoranti e negozi, “maledetti, siamo ancora vivi”, come direbbe Papillon, sì qualcuno (qualcuno?) è morto ma bisogna riprendere, the show must go on, lo spettacolo deve continuare, lo si è visto in pista con le moto, un pilota muore, si abbassano lievemente i toni (tutto lì?) ma la gara non si interrompe, negli stadi ormai è diventata un’abitudine fare un minuto di silenzio, un omaggio al mondo là fuori, oltre le tribune, dove c’è gente che se ne va e si dice sempre che “lascia un vuoto incolmabile”, ma chissà perché quel vuoto è già stato colmato, che già qualcuno ha scalato di un posto e l’ha occupato anche sgomitando, perché questi sono tempi dell’ognuno per sé.
Adesso si aspetta di togliere del tutto la mascherina e appariremo per quello che siamo diventati, no, non siamo migliori, ci siamo chiusi dentro noi stessi all’insegna del “si salvi chi può” e al diavolo le paturnie che un anno e mezzo di lacrime e lutti ci hanno sfiancato. Aspettiamo che tolgano il coprifuoco per tornare quelli di prima, come niente fosse, “sono vaccinato” e sembra una trionfale affermazione di immortalità, sulla scia della convinzione di un’umanità che abbia raggiunto la piena autonomia, magari con qualche caduta (anche di stile) ma no, dai, se “Dio ha bisogno degli uomini” sono… affari suoi, gli uomini non hanno più bisogno di Dio, nemmeno per spiegare il “male di vivere”.
E l’estate che torna è da sempre la celebrazione del corpo, che ci frega dello spirito, carpe diem e soprattutto carpe noctem, una volta che si tolga il limite del coprifuoco e si torni alle vecchie e rimpiante stagioni in cui “certe notti la macchina è calda / e dove ti porta lo decide lei /certe notti la strada non conta / e quello che conta è sentire che vai” (Ligabue). Dove non importa, ma “via via / vieni via di qui / niente più ti lega a questi luoghi” (Paolo Conte), che abbiamo vissuto troppo a lungo come in una sorta di arresti domiciliari, imprecando contro il mondo intero. Leggerezza, gente, “maledetto virus, siamo ancora vivi”.
E allora fuori tutti a sentirci il sole scaldarci le ossa. E se ci riesce di alzare gli occhi, seguire il frenetico volo delle rondini intorno ai campanili e andarcene lontano “lontani e vagabondi / guardando la natura / come degli innamorati” (Arthur Rimbaud).
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