benedetta gente

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    Durante il fine settimana gli avvoltoi s’introdussero attraverso i balconi della casa presidenziale, fiaccarono a beccate le maglie di filo di ferro delle finestre e smossero con le ali il tempo stagnato nell’interno, e all’alba del lunedì la città si svegliò dal suo letargo di secoli con una tiepida e tenera brezza di morto grande e di putrefatta grandezza” (L’autunno del Patriarca – Marquez).

    Il Quirinale, la “casa” dei Papi, dei Re e infine dei Presidenti della Repubblica, non sarà presa d’assalto, non ne abbiamo né voglia né tempo, non ne varrebbe nemmeno la pena, anche se c’è qualcuno che grida alla dittatura sanitaria e se l’inquilino attuale in proposito ha avuto giudizi netti e piuttosto severi. Ma anche da lì, come dai palazzi del potere, perfino dai municipi, arriva quella “brezza di morto grande” e non mancano gli avvoltoi che in questi giorni girano minacciosi sopra i tetti della “casa presidenziale”.

    I grandi elettori dubito siano ispirati, come si dice dei cardinali nei Conclavi, dallo Spirito Santo. C’è stato un timido risveglio di interesse, qualcuno commenta, solitamente in negativo, non vorrei vedere quello come Presidente, ci mancherebbe, commenti salaci con propositi che in genere non vengono mantenuti, come quello, piuttosto diffuso sui social, di emigrare nel caso venisse eletto uno piuttosto di un altro. No, i primi non me li ricordo, ne ho sentito parlare vagamente, in casa c’era il lunario da sbarcare, non si parlava volentieri di politica, vaghi ricordi di manifesti sui muri con facce feroci, scudi e fiamme e in chiesa la predica sul dovere di buoni cristiani che noi ragazzi non si capiva in che cosa consistesse. Ogni casa aveva ricordi e qualche rimorso, no, restava valido il cartello “qui non si parla di politica” che c’era ancora in qualche osteria, dove peraltro si giocava pesantemente alla morra e se ci poteva scappare una coltellata, non era per De Nicola o Einaudi che la gente faticava a capire se erano i nuovi Duci e in cosa consistesse il loro ruolo.

    Ho il ricordo di lunghi, noiosi scrutini sentiti alla radio, Gronchi che un giorno da studenti andammo a ricevere in Piazza Vecchia a Bergamo e allora sembrava fosse Dio tornato sulla madre terra anche se sapevamo che forse il vescovo non voleva incontrarlo e non capivamo il perché, e in tv Tognazzi e Vianello lo aveva preso in giro perché era caduto da una sedia ma lo abbiamo solo sentito perché nel ‘59 non avevamo ancora la Tv e su dal Curato, portando uno skinèl (un pezzo di legna da bruciare) si poteva vedere solo la tv dei ragazzi con Rintintin.

    Poi Segni che poi ebbe un ictus e lì ci crollò il mito dell’invulnerabilità dei poteri forti, al punto che pochi anni dopo la mia generazione tentò una spallata non molto educata a quel palazzo che non era nemmeno d’inverno come quello russo e forse per questo tutto finì in niente anche “perché noi eravamo quelli della festa con il vino e altre sole, noi eravamo quelli del rimorso, prima ancora del peccato…” (Formidabili quegli anni – Vecchioni).

    Saragat su cui si raccontavano storie enologiche imbarazzanti, ma ci furono le stragi fasciste e la paura perfino a girare nelle nostre piccole prime auto che ci facevano sentire liberi, ma c’era il fermo di polizia e la paura che quella non fosse poi una grande libertà e quando ci fermavano a un posto di blocco, le mani sul tettuccio dell’auto, le perquisizioni e i mitra sotto il naso, beh, insomma, era già il ‘68 che sfumava e si faceva catacombale.

    Leone con la sua signora che tutti dicevano meraviglie sulla sua bellezza che a noi non sembrava poi così meravigliosa e comunque non si capiva come avesse fatto a sposarlo e ricordo solo l’indifferenza e anche il non capire i misteri di palazzo, lo scandalo di compravendite di aerei che lo portarono alle dimissioni, si leggeva il lenzuolo, che era L’Espresso, che alimentava il mistero e il sospetto su tutto e tutti e quel presidentino non è che aiutasse a dissiparli.

    Pertini, ah Pertini quello sì ce lo lo ricordiamo bene, era in sintonia, ruspante e fortunato e quel pugno svolazzante alla finale dei mondiali e poi la pipa e le sue partite a carte con Bearzot ma anche la sua faccia davanti alla tragedia di Vermicino, che a me ricordava il film “L’asso nella manica” in cui a fronte di un uomo intrappolato da una frana, si sceglie una soluzione insensata pur di montare un circo mediatico, e poi il caso Moro e i suoi nuovi misteri. Ecco, il vocabolo ricorrente è appunto “mistero”, che continua con le esternazioni di Cossiga e l’incedere cardinalizio e fastidioso di Scalfaro. Poi un salto di qualità con gli ultimi tre presidenti.

    Perché in fondo in fondo siamo come dice Gaber, “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono” e ci piace che ci rispettino rispettando chi ci rappresenta. Per questo mi preoccupa quell’aria di “putrefatta grandezza” e quegli avvoltoi che girano in tondo fiutando la carcassa della democrazia.