benedetta gente

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    Una nuova Pasqua che ha simboli che hanno perso il senso originario di pace, l’uovo e la colomba, in questi tempi di guerra. Odi et amo, il mondo è grigio il mondo è blu, bianchi e neri, il rosso e di nuovo il nero, indiani e cow boys, Coppi e Bartali, Putin e Biden. Quare id faciam fortasse requiris, forse mi chiedi perché mi succeda, nescio, sed fieri sentio, et excrucior, non lo so, ma mi succede e ne soffro. Macché, siamo di volta in volta convinti di avere se non proprio ragione, almeno delle buone ragioni, che pretendiamo che gli altri condividano a prescindere, non sopportiamo critiche, in nome di una democrazia sfrangiata e individuale, di una libertà egoistica, della serie, non rompeteci le scatole che devo sbarcare il mio lunario. Anche questa guerra in fondo è solo un fastidio, con ricadute sulle nostre bollette del gas, ma la finiscano, la loro libertà in fondo non ci riguarda, ognuno per sé, nessuno per tutti, “ognuno a rincorrere i suoi guai, ognuno col suo viaggio, ognuno diverso e ognuno in fondo perso dentro i fatti suoi” (Vasco Rossi).

    Suonano le campane a festa, in ricordo di uno che è stato condannato (ingiustamente) a morte e dopo tre giorni, dicono stancamente i preti, è risorto. Non crediamo più a niente, figurarsi alla resurrezione. Noi puntiamo ad eliminare la morte, la nostra s’intende, quella degli ucraini non interessa, i concetti di democrazia e libertà sono filosofia, via via, che andiamo di fretta, io devo essere libero, il vicino di casa è già un estraneo che mi limita.

    Se “Dio ha bisogno degli uomini”, resterà deluso, perché pare proprio che gli uomini non abbiano più bisogno di Dio. Parlo con la clarissa, una donna eccezionale che si è votata alla clausura ma non si sente rinchiusa. Parla del relativo che necessita dell’assoluto, altrimenti perde senso, come il bene che per essere definito deve essere contrapposto al male. Filosofia…

    A noi resta soli “il male di vivere” che facciamo coincidere con il rincaro delle bollette e al diavolo Socrate che sosteneva, poveruomo che “il giusto è bello, il bello è buono, il buono è utile e quindi il giusto è utile”. Andatelo a dire ai furbi di “questo mondo di ladri” e vi rideranno in faccia. “Chi opera bene sta bene, è felice e quindi gli giova più delle cose che spesso crede gli siano utili, che crede gli giovino per essere felice, scoprendo fin troppo presto che non comprano la felicità, insomma che la felicità sta nel fare il bene”. Se Socrate (Socrate? Chi era costui?) ripetesse queste cose in un qualsiasi talk show televisivo, lo prenderebbero per lo scemo del villaggio e gli scemi ospiti al confronto sembrerebbero giganti del pensiero. Già Alcibiade obiettava a Socrate che “il popolo non discute quasi mai di ciò che è giusto, ma di ciò che è utile”. Ma se il giusto coincide, come sostiene Socrate, con l’utile saremmo a posto. Il problema nostro è che l’utile sovrasta ogni giorno il giusto.

    Suonano le campane a festa dopo l’exultet che dovrebbe essere un grido di gioia e perfino nel canto del diacono nella basilica suona invece come un esercizio di bel canto, senz’anima. Buona Pasqua suona come un augurio a salve, chi augura più oggi, davvero, qualcosa di buono ad altri se non c’è un tornaconto? Viviamo sfilacciati nella convinzione che l’importante non sia tanto vivere quanto sopravvivere.

    Buona Pasqua comunque, che sia un “passaggio” (Pasqua ha questo significato) a qualcosa di meglio. Questo sì, gente, ve lo posso augurare. E spero vi riesca.

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