“Ben venga maggio e il gonfalon selvaggio, ben venga primavera che vuol l’uomo s’innamori…” (Poliziano). Nuovo piccolo appuntamento elettorale per alcuni Comuni (791 in tutta Italia s un totale di 7.901) con alcuni capoluoghi, Brescia su tutti (ma anche Sondrio, Ancona, Pisa, Siena, Catania, Vicenza…). In provincia di Bergamo 11 Comuni, in quella di Brescia 17. Va beh, comunque non abbastanza per misurare eventuali cambiamenti di umori.
Se da una parte c’è un piccolo sussulto di interesse pubblico nelle candidature ai Comuni che vanno al voto tra pochi giorni (14-15 maggio) con almeno due o addirittura tre candidati a sindaco, cosa che non si verificava da qualche anno (fa eccezione Borno con lista unica), dall’altra parte viene segnalata una fuga di impiegati e tecnici dai Comuni. In Italia la media è di quasi 6 dipendenti ogni mille abitanti, In Lombardia è poco sopra i 5 dipendenti, dalle nostre parti è crollata a 4 dipendenti.
Già il fatto che i Comuni cerchino personale che non trovano, che addirittura ci sia una fuga di tecnici e impiegati dai municipi è un altro segno che il “pubblico” non interessa, ognuno per sé, i sogni stanno altrove. Ma dove?
La grande piazza del concerto del 1 maggio a Roma, sotto una pioggia battente, ha mandato in onda un mondo giovanile scollegato dalla politica. Vivono e cercano di godersi il presente, non sopportano l’ipocrisia dilagante di quelli che gli ripetono che il futuro sarà loro. Certo, anagraficamente, ma poi nella realtà vivono un precariato perenne, anche in prospettiva. I “diritti civili” affidati alle canzoni. Sì, c’è stato un tempo in cui anche le canzoni sono servite, colonne sonore di un disagio che si è poi trasformato in rivolta. Carlo Rovelli li ha incitati a non rassegnarsi a cercare di cambiare il mondo: “Vedete, il mondo è meraviglioso, questa piazza è meravigliosa, la musica è meravigliosa, innamorarsi è meraviglioso. Ma non è tutto meraviglioso”. Ha parlato dei “signori della guerra” e viene in mente Dylan, del mercato delle armi che rischia di scatenare la terza guerra mondiale, “invadono paesi, si sfidano come galletti in un pollaio”, della catastrofe ecologica “che rischia di rovinare le vostre vite”, della ricchezza concentrata in poche mani, “la smania di potere”. No, “non è questo il mondo che ci piace… ma il mondo è vostro… voi siete in tanti, tantissimi, qui a Roma, come a Pechino, San Francisco, Berlino, Rio o a Islamabad, il pianeta è vostro, voi potete cambiarlo. Non da soli, ma insieme sì”. Un richiamo alle rivolte del passato, forse perfino al ’68: “Le cose del nostro mondo che amiamo sono state costruite nel passato da giovani che hanno saputo sognare… anche a costo di rovesciare tutto qualche volta”. E la conclusione: “Non vivete di insoddisfazione, di sogni irrealizzati, di lamento, di inquietudine per un futuro che dipende da altri”.
Ma pioveva a dirotto su quella massa di giovani che tornando a casa hanno trovato genitori esausti e insoddisfatti, che sbarcano il lunario senza sognare niente di più del giorno dopo, “domani è un altro giorno, si vedrà”. I sogni glieli spegniamo sul nascere.
Serve demandare ai giovani di oggi sogni che non abbiamo realizzato noi? Vai con le canzoni, non si sa mai che servano davvero.
“Ben venga Maggio e il gonfalone amico, ben venga primavera /
Il nuovo amore getti via l’antico nell’ombra della sera, nell’ombra della sera” (Guccini).