benedetta gente

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    “E leggero il mio pensiero vola e va / Ho quasi paura che si perda”. Ancora “impressioni di settembre” come colonna sonora. È sempre più difficile inserire pensieri tra le troppe parole al vento. Leggo post di amici di un tempo remoto che sapevo “militanti”, con la voglia di cambiare il mondo (ed eravamo più di quattro e non eravamo nemmeno al bar come nella canzone di Paoli). Parlano di sport, tifano Italia comunque, meno che nel calcio, dove ognuno coltiva le sue differenze, non necessariamente territoriali. Succede, come per una sorta di legge del contrappasso: c’è stata una lunga stagione in cui a tifare Italia in ogni senso si era tacciati di essere di destra o addirittura fascisti, residui del ventennio. Forse è merito (involontario) della Lega (quella di Bossi) se c’è stato un ridestarsi dello spirito nazionale. A un certo punto (merito di Ciampi) fu sdoganato perfino l’inno nazionale, al punto da commuovere (quorum ego) quando suona per un podio conquistato a spese altrui.

    Non c’è stato, non ancora, un ripensamento in noi su di età, con la nuova maggioranza nazionalista, più che nazionale. I giovani di oggi sono “ragazzi dell’Europa”, no, di più, sono ragazzi del mondo, partono appena finiti gli studi per continenti lontani, che i nostri vecchi raggiungevano sui “bastimenti” fuggendo dalla miseria. Oggi cercano “aria”, orizzonti non soffocati dalla miopia generazionale, “all’inizio tornava ogni mese, poi per le feste, adesso mi manda solo gli auguri, quando viene a trovarmi gli sembra di soffocare”.

    No, non è un paese per vecchi ma un paese di vecchi (di testa). E se esultiamo per qualche eccellenza (perlopiù sportiva) ecco che la tentazione delle citazioni è troppo forte: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie ma bordello!” (Dante). Il “nocchiere” c’è, il problema è la rotta, insomma dove ci sta portando, sembra girare in tondo, mentre il secondo ufficiale (Salvini) traccia rotte diverse e monta la paura che si vada alla deriva. E mentre stiamo a ipotizzare lo scenario di una invasione, stiamo… liberando il terreno, denatalità con prospettive (esagerate) di estinzione dell’italiano doc. Che però in natura non è mai esistito, visto che perfino l’antica Roma nel mito è stata fondata da un troiano fuggitivo e Petrarca (che non era un calciatore ingaggiato dalla Roma) descriveva l’Italia del suo tempo come invasa (“che fan qui tante pellegrine spade?”). Ed era un’invasione da nord al punto che il poeta si chiedeva il perché, visto che “Ben provide Natura al nostro stato, / quando de l’Alpi schermo / pose fra noi et la tedesca rabbia”.

    Ma anche dal sud ci hanno invaso i greci (la “Magna Grecia”) i Saraceni, gli Arabi, perfino i Normanni, poi gli Spagnoli, i Francesi e ne dimentichiamo qualcuno. Il sincretismo è nato dalla fusione di civiltà che si sovrapponevano, noi siamo figli non delle stelle, ma spesso delle stalle dove bivaccavano gli eserciti stranieri, figli di connubi più o meno voluti.

    Ma abbiamo prodotto, forse proprio per questi incroci di culture, un’Italia con una storia piena di artisti (i grandi, da Michelangelo a Caravaggio), di geni, scienziati (la radio di Marconi, il telefono di Meucci, la pila di Volta, il motore a scoppio di Bernardi, perfino il violino e il pianoforte e nella musica quasi tutto al punto che in ogni spartito le indicazioni sono in italiano). E allora, perdinci, viva il sincretismo che ci preserva dal cretinismo.

    “Canzone, io t’ammonisco / che tua ragion cortesemente dica, / perché fra gente altera ir ti convene, / et le voglie son piene / già de l’usanza pessima et antica, / del ver sempre nemica…” (sempre Petrarca).