benedetta gente

    22

    Ragazzi fragili, dicono, devono farsi le ossa a scuola se no nella vita diventano carne da macello. E ancora: i genitori facciano i genitori che noi insegnanti facciamo gli insegnanti. Il punto è che “fare i genitori” è complicato e nessuno te lo insegna più, ma anche “fare gli insegnanti” va ben oltre un titolo di studio. La famiglia patriarcale è un vago ricordo, cancellata con la civiltà contadina e l’industrializzazione selvaggia degli anni ’60.

    Noi ragazzi di allora l’avevamo presa come una rivoluzione, cambiava il mondo e noi volevamo cambiarlo a nostra misura, i nostri nonni e padri ci sembravano fuori gioco, cosa potevano mai insegnarci se tutto era diverso da prima? I nostri genitori spiazzati dagli eventi; restavano alcuni valori ma traballavano anche quelli, tutto era in discussione, fedi, speranze e carità, quello che un tempo era lo zoccolo duro dell’economia (cascine, prati, boschi) adesso diventava marginale, addirittura un peso, meglio il salario sicuro, finite le otto ore, finiti i pensieri, basta dover guardare in su con la paura della grandine, a fulgure et tempestate non ci proteggeva più Dio chiamato in causa con le rogazioni, si lavorava in città dove si viveva un’altra vita e i vecchi restassero pure lassù nelle case che diventavano sempre più “larghe” e vuote. Si è rotta la filiera del come essere genitori. Da allora è come si sia azzerata la conoscenza pedagogica ruspante di come si allevano i figli. E la maggior parte dei genitori si limite a una “protezione” generica del figlio, alle prese con qualcosa che loro non possono scalfire, nonostante si dica che sono invadenti, sentono dei loro figli giudizi trancianti che li sorprendono, ma mio figlio non è così. Che può essere, ma siamo sicuri che quel giudizio sia più fondato di quello di casa?

    E passiamo appunto agli insegnanti che si trovano a trasmettere il “sapere” (acquisito magari proprio in quel passaggio epocale) o comunque prodotti di una filiera scolastica puntata in gran parte sulla futura “produttività” del soggetto. Ci si rifugia nell’usato sicuro, insegno matematica? gli alunni devono saper risolvere equazioni e problemi: tot errori, tot voti, decimali inclusi. Insegno italiano? Vuoi mettere l’anacoluto e l’anastrofe, l’anafora e la sineddoche? La poesia ridotta ad analisi, questo sì un ossimoro, ma è più comodo nel dare un giudizio, tot risposte esatte, tot voti, sempre decimali compresi. Giudizi “oggettivi”. Fa niente se non c’è peggior ingiustizia che adottare un metodo di giudizio uguale per alunni disuguali, diversi. È stata abolita la pedagogia, tutti “tecnici delle competenze” e al diavolo la conoscenza e il rapporto “umano” che “poi quando vanno a lavorare cosa se ne fanno se non sanno fare il mestiere?”. Del “mestiere di vivere” la scuola se n’è lavata completamente le mani. C’è una sorta di selezione feroce che non può “perdere tempo” in valutazioni sociologiche e psicologiche, c’è un rating della scuola da mantenere e poi sbandierare nella competizione delle future iscrizioni quando escono le classifiche delle scuole con risultati più o meno eclatanti. Per ottenerli bisogna disfarsi della “zavorra”, di chi “ha i suoi tempi, ma la scuola non può aspettare”. Chi ha studiato pedagogia può indignarsi, che tanto è inutile.

    Gli insegnanti che accusano i genitori, questi che gli rimpallano le responsabilità.

    E i ragazzi stanno lì in mezzo, si rifugiano nello smartphone dove cercano risposte a domande, che non possono fare a scuola, da imbonitori improvvisati, misurati dai like che sbandierano come un diploma di laurea.

    Il mondo è di nuovo cambiato, ma mentre noi al tempo del primo cambiamento abbiamo coltivato il progetto di fare un mondo a nostra immagine e somiglianza, questi ragazzi sembrano smarriti. Ragazzi fragili che cercano di sopravvivere al periodo scolastico, riservandosi di inventarsi qualcosa di solido che a scuola non gli sanno insegnare e in casa nemmeno. Il limite (ed è la… fortuna degli insegnanti e in parte dei genitori) è che ognuno di questi ragazzi, chino sullo smartphone, pensa per sé, non c’è in prospettiva né una rivolta né un progetto di scuola e di vita condiviso. Così, come nella storia degli Orazi e Curiazi, se ne elimina uno alla volta, nel silenzio e indifferenza dei compagni che, ognuno per sé, stanno smanettando sul cellulare…

    pubblicità