Che cosa si può dire di una donna morta nel mezzo della vita? Che mi è rimasto il suo abbraccio sulla piazza del paese, pochi giorni prima di morire. Che aveva il gusto del bello, che aveva classe, che aveva voglia di vivere, che ha combattuto una battaglia rubando e godendosi al meglio i giorni che le restavano. Le nostre mattane quotidiane si fermano (un attimo, s’intende) davanti a una bara con dentro una persona, vai con le frasi fatte, ti ricorderemo, sarai per sempre nei nostri cuori, che la terra ti sia lieve, e l’odioso RIP che è sintomo di non voler sprecare nemmeno il tempo per scrivere qualcosa che rispecchi i sentimenti, anzi, rispecchia solo una cortesia di facciata, proprio l’inesistente condolore. Magari ci scappa qualche lacrima e già stiamo pensando a tutte le cose da fare prima di chiudere un altro dei giorni che ci sono dati, con l’illusione che ne avremo ancora talmente tanti da non sforzarci nemmeno di pensarli come numero. “Si potrebbe andare tutti quanti al tuo funerale / Vengo anch’io? No, tu no / Per vedere se la gente poi piange davvero / E scoprire che per tutti è una cosa normale / E vedere di nascosto l’effetto che fa” (Jannacci).
Il “travaglio usato” ci (ri)chiama. In paese troviamo un fermento di mormorazioni diffuse, c’è da eleggere il nuovo sindaco o confermare quello vecchio. A proposito di… vecchi, registriamo un diffuso ritorno dei “grandi vecchi”, gente che ha decenni di impegno amministrativo, se non politico, alle spalle e viene richiamata in servizio. Tornano in campo nell’evidenza che si è creato un vuoto. Rischiano. Per alcuni la motivazione è il dovere civico, per altri rivincite rimaste sullo stomaco, per altri ancora l’evidenza che nessuno più vuole sprecare tempo per gente che poi smanetta sui social insultando a prescindere il sindaco, anche quando non c’entra niente. Ma è il bersaglio più a portata di insulto.
Un tempo, nemmeno lontanissimo, il sindaco era un incarico di prestigio, venivi rispettato, al sindaco si ricorreva anche allora per tutti i problemi, anche personali, lui conosce le persone che stanno in alto, si diceva. Non è un tornare sul luogo del delitto, un tempo si sapeva amministrare, si faceva la immancabile gavetta, nei partiti o nelle stesse amministrazioni, poi emergevano i migliori o giù di lì (a volte solo quelli che sapevano parlare in pubblico, ma col supporto di persone operative alle spalle). Il nulla genera il nulla. Nessuno più vuol fare gavetta, sentito un candidato dirmi, senza arrossire (una virtù perduta), “io non sono secondo a nessuno, o mi candido a sindaco o niente”. È finito in niente, appunto.
Questa autostima magari è stata coltivata in azienda, il marketing è il loro credo: non sanno che nella pubblica amministrazione i conti non si fanno sul dare e l’avere perché, se investi centinaia di migliaia di euro per asfaltare le strade comunali, non ci sarà il ritorno di un euro, tanto più se pavimenti in pietra il centro storico, se metti lampioni di ferro battuto, belli ma nessun riscontro economico, solo investimenti a fondo perduto se non con la soddisfazione di avere abbellito il paese. La qualità della vita ne risente ma non in termini quantificabili in euro.
Bisogna crescere i ragazzi con una visione comunitaria, ma se imparano in famiglia e perfino a scuola che ognuno è per se stesso, non ci saranno candidati adeguati ad avere il polso dei bisogni collettivi, sapranno fare solo la somma dei bisogni individuali, scontentando tutti, alcuni perché non gli frega niente del paese, altri perché non ne hanno ricavato abbastanza.
Non è dunque un bel segnale che tornino i “grandi vecchi”. Perché significa che c’è il deserto di senso civico in intere generazioni che si sono nel frattempo succedute in quel paese. Ma purtroppo troveranno anche la novità di diventare il bersaglio preferito sui social, vocati al martirio di S. Sebastiano.
Non è un bel segnale ma… meno male che tornano. Perché c’è bisogno di loro e magari perché la morale di questa favola è che i vecchi non sono tutti da buttare…