Come se non ci fosse un mese, anche il tempo la pensa come me e mischia le carte tra nubi e sole. Combatto con i miei casini e tu scrivi poesie che pungono come spine. Prendo la scopa e raccolgo parole sparse sul pavimento, come chicchi di riso dopo un matrimonio, le metto tutte via, in un cestino colorato, in attesa del freddo al cuore, di un nuovo inverno d’anima, per aprire il cestino e prendere quelle che mi piacciono e regalarmi una fiaba di buon umore. Uno scrigno di meraviglia. Il primo sole d’estate rischia di sciogliermele ma dentro di me si tuffano tra battiti di cuore e zampogne di stupore. Parole strane. Alcune ferite, altre piene di punti esclamativi, altre folli, alcune sanguinanti, ma le mie preferite sono quelle con i punti di domanda. Dove tutto è ancora possibile. Dove tutto è per sempre e il per sempre non finisce mai e cambia direzione a seconda del mio umore. E intanto tu resta qui, ma non vicino, che dell’averti vicino non me ne faccio niente, in fondo tutti mi sono vicini, ma non siamo collane, orecchini, magliette, carezze sulle guance, foglie su un prato. Macché. Ti voglio dentro. Come il vento quando respiro. Il pesce nel mare. La mano nel guanto. Il seme nel frutto.
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