Dai, raccontami una favola

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    Seduta sulla tua poltrona respiro dove manchi, così non sento più la primavera del tuo sorriso, e trattengo il fiato per arrestare in quel briciolo di pelle il tuo ultimo odore; mi sfugge perché questo tempo non ha più la tua voce. Mi scaldo dentro la tua maglietta colorata nello sfiorare le corde di una chitarra che non suona più e somiglio a te per i silenzi di cristallo.

    Ancora parliamo contemporaneamente nelle notti fatte di sogni, così il mio cuore anche oggi ha bisogno della tua approvazione. È solo bisogno di nostalgia di te. E credo sia così. Che poi non lo so, o forse lo so, che a parlare di guerra troppe volte si finisce a pane e retorica.

    Ma c’è un oltre, che è quello della mancanza, del togliere quello che non c’entra con la guerra, che poi non so se fate caso che in guerra alla fine sparisce sempre chi con la guerra c’entrava poco o nulla, da una parte e dall’altra.

    C’era una storiella: diceva che se la guerra non viene buttata fuori dalla storia dagli uomini, sarà la guerra a buttare fuori gli uomini dalla storia. Le guerre appaiono inevitabili, lo appaiono sempre quando per anni non si è fatto nulla per evitarle. In questo marasma di foto e di informazioni che cambiano a seconda di chi le racconta, mi resta sempre un minimo comune denominatore, in guerra mi fanno più impressione i vivi che i morti. “I morti mi sembrano dei recipienti usati e poi buttati via da qualcuno, li guardo come se fossero bottiglie rotte. I vivi, invece, hanno questo terribile vuoto negli occhi: sono esseri umani che hanno guardato oltre la pazzia, e ora vivono abbracciati alla morte”. (Nicolai Lilin). Guardo le foto dei bimbi e in quegli sguardi c’è il dolore di tutte le scapole a cui sono state tolte le ali.

    Dai, raccontami una favola, tienimi seduta fra le gambe, infila il tuo volto tra i miei capelli, esplora le mie latitudini; raccontami dei giorni, quelli vuoti, quelli belli, quelli che non ricordi più. Raccontami a cosa pensavi prima di addormentarti, con la testa sul cuscino e le mani tra le lenzuola, a cercare le mie. Raccontami la vita che avremmo vissuto se avessimo continuato il viaggio, insieme. Anche in seconda classe, lato finestrino, vista mare. Raccontami, dai.