FARÀ SCALO IL MIO STUPORE

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    Quando siamo nati eravamo così sorpresi che non abbiamo parlato per un anno e mezzo. E io quello stupore che parla senza parole me lo sento ancora addosso quando arriva aprile. Ma anche quando arriva maggio, giugno, luglio e pure novembre. Senza quello sarei solo parole e gente. E le parole e la gente troppe volte avanzano. Un petalo di fiore di mandorlo si stacca lento e si lascia fare l’amore dal vento. Io lo guardo e ritrovo la fame. Di nuovo. Di tutto. Di sempre. Di adesso. Di aria. Di acqua. Di sabbia. Di sale. Di mare. Di vero. Di cielo. Di Montenegro. Di sangue. Di gelato alla fragola. Di lingue. Di vento. Di sento.

    Ho fame. E’ bello avere fame. La prova costume dell’anima non la faccio. Porto i miei occhi a fare un giro lontani dalle parole e lascio fare al mondo, che ad aprile se la tira ed è così bello che il resto non conta più nulla. Le albe tremano e io resto in mezzo a scordarmi di essere qui anche adesso, un ricordo lontano che si fa vicino, tu non ricordi ma in un tempo così lontano che non sembra esserci stato ci siamo dondolati su un’altalena sola, e poi quella frase nel silenzio ‘che non finisse mai quel dondolio fu l’unica preghiera in senso stretto che in tutta la mia vita io abbia levato al cielo’.

    E mordo il freno e mi cerco e ti cerco nelle ore inseguite da spazi di respiro. Ho fretta di vita. Io non lo so se il ‘devi fare pazienza’ e ‘la vita è breve’ si sono mai incontrati. Rientro in redazione. Ma lascio tutto aperto, ho sempre pensato che se lascio aperte le finestre, prima o poi, entrerà tutto il cielo. E non importa più nemmeno se sono qui a scrivere. Non sai in quanti posti ti porto quando non sei con me. E intanto le ore se ne vanno. Domani, in quanti occhi farà scalo il mio, il tuo stupore?