IL CANTO DELLE TORTORE

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    Dentro il chiasso silenzioso di un mattino sporcato dal canto delle tortore che si ficcano sotto il campanile e giocano con le foglie del tiglio di fronte. Guardando auto cariche di valige e sorrisi sdentati di bimbi che se ne vanno in vacanza. Io che a Ferragosto me ne andrei a Milano, nel deserto di una città libera e senza niente addosso con la voglia di non essere niente e nessuno. Una vacanza da me. Dentro un bar a sorseggiare un Montenegro ghiacciato. Il bello dei bar di passaggio è che ti senti un estraneo in mezzo ad estranei senza alcun desiderio di voler essere altro. Senza la prepotenza dei pensieri fissi. Castelli in aria senza fondamenta. Scrivendo sogni che non conosco. Senza l’inquietudine infinita di dover vivere il tempo, scegliendo solo la vita. Senza badare a cosa c’è sopra il cielo o cosa passa nel vento. Che non c’è il tempo bello o il tempo brutto. C’è il sole e la pioggia. E basta. E chi mi va di vedere. Chi porta ancora il cielo sugli occhi. Un sapore di Big Babol sulle labbra. Tulipani bianchi nel cuore. La figurina di Oriali dentro un vecchio diario. Una canzone di Janis Joplin. I tuoi occhi profondi e densi di cielo. Profondi come secoli di luce. Inabissati al di là del mio Santuario e risorti ogni giorno dentro il canto delle tortore sotto il campanile. Siamo una manciata di attimi nelle tasche del tempo.
    Aristea Canini

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