Mi alzo di fretta, cerco un brandello di cielo dove assorbire infinito. La doccia mi shakera i sogni che ho lasciato sotto il piumone. Mattia non va a scuola. Tutto chiuso o quasi per coronavirus. E scopro che le notizie si fanno da parte, si mischiano alla paura e diventano parte del cappuccio al mattino, di una carezza solo accennata, di uno sguardo preoccupato. E boh. E prima di uscire e buttarmi in un’altra giornata da combattimento butto un occhio a Mattia che dorme. Siamo sempre così preoccupati di avere il coltello dalla parte del manico che ci si dimentica quanto sia stupendo quando qualcuno ci fa sentire disarmati. Guido su strade deserte. Le montagne stanno sempre lì, dov’erano anche prima. Ma siamo noi sotto che stiamo cambiando. E allora salto il giro e abbraccio l’universo. Che quello si può ancora. L’universo non ha un centro, ma per abbracciarsi si fa così: ci si avvicina lentamente, senza motivo apparente, per non distrarre il cielo, poi allargando le braccia, si mostra il disarmo delle ali. E infine si svanisce, insieme, nello spazio tra te e l’altro. Perché mi devo tutelare. Devo fare attenzione alle paure del giorno. Amano rubare i sogni della notte. Che poi la paura e la felicità sono fatte delle stessa sostanza. Come una fotografia guardata da diverse angolazioni. La paura è la camera oscura dove si sviluppa il negativo. Ma forse è la volta buona che mi puoi vedere dentro, che mi metto nuda. Non guardarmi soltanto quando sogno. Quando sorrido. Quando apro finestre nel cielo e guardo cosa c’è oltre. Guardami mentre inciampo e cado. Guardami quando ho paura. Quando il tramonto si prende a pugni con l’alba. Allora sì, potrai dire chi sono. Pensa che bello. E poi ripartiamo. Prepara il cestino. La primavera è dietro l’angolo della paura.
Aristea Canini