Aristea Canini
Il linguaggio è come una pelle, la sfreghi contro le parole di qualcun altro e senti brividi. Come avere le parole sulle dita o le dita sulla punta delle parole. E rimanere senza principio di paragone. Come quando sto con te. Non ‘sei come’. Non ‘sei più’. ‘Sei’. E il resto semmai a doversi adattare. Certe cose le puoi capire soltanto se le oltrepassi, non sopra, non sotto, neanche attraverso. Perché non sono cose e soprattutto perché sono loro ad attraversare te. Come adesso. Con il cuore sparpagliato. Ci sono pensieri che non pensiamo, sono loro che pensano noi. E io che ne so, qui che faccio la trottola tra parole e gente ma poi finisce sempre che me ne vado dove non ci sono nemmeno io, sembra fatto apposta aprile per lasciare fare al tempo, al cielo, a quello che ti capita. Sdraiarsi senza nessuno attorno e incollare lo sguardo dove capita, anche quando mi ritrovo a leccarmi le ferite, ci si fanno pozzanghere di sole al tramonto per guardare il cielo al contrario. Il dolore non si spreca. Ci si fa l’eternità col dolore. Ci si fa l’immortalità. Mi sorprendo a desiderare di sporcarmi le mani di cielo. Seme nel buio. Come il cielo di oggi che quando lo guardo imparo il respiro delle nuvole. Alla ricerca di un tesoro senza mappa. Sedersi davanti al lago, guardare un’onda dimenarsi, quasi a fare l’amore con le rocce, toccarle, sbattere, ritirarsi, venire sulla riva. Come mi volesse abbracciare, così decisa, così intensa, piena di istinto, che non chiede e non si ferma, lei è l’onda, il suo mistero, e tu l’aspetti, e tu sei il lago.