il lago

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    (p.b.) Il lago si riprende il vento del mattino e l’Ora del pomeriggio. Questo è un lago serio, da non prendere alla leggera, la montagna sprofonda nell’acqua perdendosi in abissi insospettati. Un tempo era lago di pesca e i naècc non erano barche da diporto, i battelli non giravano in tondo, andavano dritti alla meta, le strade scavate nella roccia su cui precipitavano di tanto in tanto massi e frane. Un lago che si riprendeva i suoi spazi, a costo di mangiarsi, certe notti, case e palazzi che si erano sporti troppo sulla riva. Un lago che non si è mai venduto, i vecchi fiutavano la bufera e i pescatori certe sere lasciavano le barche sul porticciolo e le donne non si azzardavano a sciacquare i panni sul purtì quando da Sarnico il cielo si faceva scuro. Sulla strada per Lovere, ancora sterrata, un camion volò oltre il parapetto. Corremmo tutti alla disgrazia, arrivarono i palombari con le loro tute e i caschi da astronauti. Non si trovò più niente. E poi gli annegati, non gente che faceva il bagno, gente che cercava qualcosa per campare. Un giorno sul grande battello bianco le donne, vedendo arrivare il temporale, la grandine che sembrava fracassare le lamiere, si misero in ginocchio a pregare la Madonna di Cortinica che ci salvasse dal naufragio. Sul porto la mattina presto c’era chi partiva per un’avventura di vita o anche solo più banalmente per il mercato dell’altra sponda. “Altra” perché a mezzo c’è il confine tra due province, due mondi, gli stabilimenti di Marone, Lovere, Tavernola, le chiatte che varcavano quei confini inventati dagli uomini e certi giorni di nebbia capitava di “vedere” un treno attraversare il lago su binari immaginari. le naf che portavano sabbia e cemento o lo strascicare degli zoccoli dei pescatori sul selciato la mattina al ritorno, “poco pesce e troppa fame”, le colline con le vigne e i frutteti, i torrenti con le loro mattane che nel ‘50 il Rino riempì il paese di fango e detriti. Questo “era” il lago d’Iseo che si faticava a scoprirlo sulle cartine geografiche dei libri di scuola, solo settimo tra i grandi laghi italiani, mortificato dalla grandezza del Garda e del Maggiore, ma perfino dai due rami del lago di Como, celebrati dal Manzoni. Nessuno aveva celebrato questo lago che pure ha il record dell’isola più grande e da ragazzi era l’unico orgoglio da sbandierare quando andammo a studiare in città, dove nessuno sapeva di quel lago e della sua gente.

    Uscendo dall’autostrada a Brescia ho sempre avuto il problema di non sbagliare direzione, nessuna segnalazione per il lago d’Iseo, che pure per metà è bresciano. Toh, giorni fa ho trovato subito la direzione, nuova segnaletica, nuova bretella. Se andavate su google a cercare “lago”, trovavate tutti i laghi italiani ma l’Iseo, meglio il Sebino, bisognava proprio digitarlo. Adesso non fate in tempo a scrivere lag… che già vi dirottano sulle “bellezze” del Lago d’Iseo.

    Cos’è la bellezza? E il bello coincide col buono? Torniamo a Socrate, benedetta gente. Se proprio non ce la fate accontentatevi: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura, l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. E’ per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza, perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e la stupore” (Peppino Impastato).

    La passerella di Christo (qui ovviamente volevo arrivare) non è stata un insulto al lago, lo ha rispettato, lo ha semplicemente fatto “vedere” a più di un milione e mezzo di persone. E poi non è restata come uno di quegli “orrendi palazzi”. Era arte, era cultura? Sì, perché ha emozionato e ha offerto visioni inedite di quella parte di mondo, di quella parte di lago. Perché solo lontano dalle abitudini succede la vita.