Le carezze degli angeli

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    Aristea Canini

    Attraverso paesi dentro albe dove la luce comincia a farsi da parte, a lasciare il posto al tepore del buio che avvolge, incrocio cimiteri dove durante l’anno non c’è nessuna auto parcheggiata, in questi giorni invece le auto sono ovunque, così come la gente che entra alla spicciolata per ricordarsi e ricordare che in fondo è il periodo di chi è andato in cielo prima di noi. Non mi piace parlare di morti, perché in fondo non credo davvero possibile morire e basta, non avrebbe senso nulla, e non c’entra la religione, c’entra la Vita, che è molto di più di ogni cosa, anche della morte. E così io mi immagino tutti in immense prateria d’azzurro a vivere liberi, angeli infiniti. Che alla fine scopri che non è la fine… un po’ come qui, finché c’è un sogno il viaggio continua, la felicità è una pelle trasparente che avvolge il viso, ne modifica i lineamenti, illumina lo sguardo e lascia trapelare la luce dell’anima. E’ un passo breve e inaspettato, un piccolo balzo che ti conduce dove tutto è possibile. E’ un arcobaleno di gioia che attraversa il cuore, un abbraccio di lacrime buone. Se non ci fosse la morte noi moriremmo eternamente. Guardo la Presolana, la prima neve, è un incanto. Le nubi bianche sembrano angeli. Già, che poi saremo tutti più o meno così lassù. Gli angeli camminano a piedi nudi, lo zaino sulle ali e una manciata di libertà nelle mani. Non si fermano per piangere, raccolgono la rugiada dalle ciglia spaventate e le persone sanno cosa lascia il bianco, le persone sanno cosa lascia il loro canto. Gli angeli camminano tra le zolle bagnate nella pioggia che purifica la vita tra gli alberi che si accasciano a terra. Gli angeli strisciano sulla polvere. Non dormono nelle clessidre dove la sabbia piange il tempo che scivola, le persone pensano e parlano ma viaggiano ogni istante sulla scia del ritardo. Ho visto angeli sfumare il vino e fumare la polvere, angeli ai bordi della vita, dalla carezza debole e intensa, intenti a lavorare sui misteri, come fosse rugiada da comporre in otri di acqua e litri di vita. Loro bisbigliano suono di memoria per carezzarci il dolore inferto dalla terra. Loro corrono su per le gambe fino ai capelli, fermandosi al centro delle nostre mani per sostenere il peso del cielo dagli abissi. Loro si stancano nel sentirci arresi alla noia o agli uragani o a rimbrottare le assenze dei lumi nella storia senza ascoltare la ninna nanna che scorre dal loro ventre.