le vere sillabe di bucolico

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    Annibale Carlessi

    Bucolico. Lì per lì, è una parola che mi fa ridere, e non mi piace che io debba memorizzarla per dire la stessa cosa scrivendo che mi sono veramente estasiato sulla montagna insieme a quei pastori. Ho cenato con loro dopo che avevano governato il bestiame e hanno dato il giusto compenso ai loro fedelissimi cani, tre grossi tozzi di pane raffermo, e più tardi anche gli avanzi di succulente costine… che le mie, mi assicurai di non morderle più di tanto. 

    Una fatica immane, su e giù dalla riva del monte, tutto il giorno ad abbaiare, a correre, a sorvegliare il bestiame che sembra di voler eludere la loro sorveglianza, sembra lo facciano per dispetto o per gioco, cercano sempre spazi proibiti per brucare e far dannare i poveri pastori a quattro zampe che non mancano di guardare lo sguardo severo e vigile dei loro “padroni”. Che padroni l’ho messo tra virgolette perché per me non sono padroni di niente, di tanto amore non può essere che il degno e unico padrone, Dio.

    Quattro bicchieri di buon vino forte, nostrano, verace come le mani che lo versano, mani robuste, mani che hanno dentro sé l’ebbrezza del profumo della terra. E quelle mani poi giocano alla morra, i numeri scorrono rapidi da bocche sicure… ma a cui trema un poco la voce. Il vino aiuta parecchio ad aumentare la sicurezza di quella meravigliosa gente, e io con loro, li rende un poco spavaldi, non fosse che a pieno diritto per il dormire poche ore al giorno su giacigli di paglia e cuscini che non hanno più colore… Si discute ad esempio per quel numero che non s’è capito bene, o per aver gettato a dita aperte un due che si apre come in segno di vittoria mentre la sua bocca diceva tre, certo forse un po’ nascosta dalla cicca di quel sigaro e i baffi non migliorano certo la situazione, ma il tre era distinto, chiaro e nitido.

    E qui entrano in ballo le grappe del dopo caffè fatto con la moca che sembra una piccola betoniera tanto era grande. Sono le grappe che ora si fan sentire, e il pastore non può che disperatamente e ostinatamente far valere le sue ragioni, ma non c’è cattiveria. Che poi si parla si ride si scherza… e si scherza sempre sul più piccolo, l’ultimo arrivato, 18 anni, non è stato a pascolare il gregge con il padre che fa il pastore dall’altra parte della valle, tutto per un lieve dissenso tra i due, il padre lo riteneva ancora un cucciolo non in grado di badare alle bestie, lui, offeso, si è offerto ad un altro pastore.

    Bucolico: ma che parola diversa da ciò che vuole intendere, quantomeno strana… Non è forse meglio cercare di spiegare ciò che provi scrivendolo, che ritenerti uno stupido se non sai cosa significa bucolico? E quando lo sai, per quanto mi riguarda, evito ben volentieri di usare quella parola, che non va a braccetto con nessuna sua sillaba con il vero e unico intento di tanta bellezza. Se non lo sai scrivere descrivendolo, pensa ad una baita, pastori, agnelli, cani, stelle a milioni sopra la tua testa girata all’indietro con la bocca spalancata di stupore, il suono della notte, picchi che si ergono fieri e maestosi sopra i tuoi pensieri. Di te sotto, un brulichio di luci che così da lontano in quegli attimi paiono candele accese sparse in ogni dove a comporre un presepio dei giorni nostri, uno spettacolo nello spettacolo.