Mare, mare voglio giocare

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    brigatore
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    Ad occuparsi del bimbetto – a occhio e croce sui 4, 5 anni – durante la vacanza al mare  ci sono: il padre, la madre, i nonni paterni e i nonni materni, un’anziana zia ed un’amica single della mamma. Il piccolo viene costantemente ed ossessivamente “monitorato”, ognuno degli otto adulti che si trova intorno si dà da fare per lui: lo porta in braccio nel breve tragitto tra la pensione e la spiaggia, tra l’ombrellone e la riva; lo veste e lo sveste; corre a lavarlo sotto la doccia non appena si sporca un po’; gli scarta la merendina e il gelato; raccoglie i suoi giocattoli; anticipa ogni suo desiderio e lo esaudisce; lo tiene alla larga da ogni imprevisto e da ogni  possibile pericolo, compresi i bambini come lui; gli dice quando e come deve giocare; come e quando deve entrare ed uscire dall’acqua; come e con cosa deve giocare, ecc… Insomma, qualcuno degli otto “angeli custodi” gli sta sempre addosso, spesso lo fanno anche tutti insieme. Poco lontano, sotto un altro ombrellone, c’è una famigliola di stranieri, dall’accento sembrano olandesi: padre e madre, sulle loro sdraio, leggono tranquillamente il libro che hanno in mano, allungando ogni tanto un’occhiata ai loro pargoli. Che sono tre – il più piccolo cammina appena – e che giocano tra loro in santa pace, andando e venendo dal bagnasciuga coi loro secchielli, scavando buche e costruendo castelli improbabili senza disturbare gli altri bagnanti. Quando è ora di andare a pranzo, i due più grandicelli raccolgono le loro cose nelle borse, le sistemano ordinatamente ai piedi dell’ombrellone e si avviano verso la pensione dietro mamma e papà. Il piccolino li segue camminando da solo, buon ultimo, sforzandosi di tenere il passo degli altri con le sue gambette corte. Il bimbo italiano lo fissa a lungo mentre si allontana. Sono sicura che lo invidia un po’. E che forse in cuor suo stramaledice tutti quei grandi che ha intorno e che gli vogliono tanto bene. Talmente tanto da impedirgli di crescere.

    Anna Carissoni

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