Mi si è fermato il corpo

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    Questo è un ricordo, come mille altri che chiunque ha, ne ha avuti e ne avrà, e questo è uno dei miei, un po’ triste forse, ma nemmeno troppo. Il cattivo tempo me lo ha suggerito, ho riacceso il camino che avevo troppo presto congedato dal suo dovere, e oggi come allora rivedo la mia immobilità in quel letto improvvisato che poi in realtà era un divano, dove mi posero avvolto in un lenzuolo retto da otto robuste braccia di quattro amici. Un giorno come tanti, il giorno che seguiva il 25 di aprile di otto anni fa. Le cose non andavano molto bene, la crisi economica che poi ancora non passa, s’era fatta sentire già da un paio d’anni, io gestivo insieme ad un socio una associazione sportiva. In pratica avevamo un bel “vivaio” di giovani promesse che pilotavano delle moto da fuori strada. E il mio staff quel giorno era partito per la Francia, importante appuntamento di “tappa” sul taccuino sportivo di quell’anno, io rimasi in Italia non ricordo il perché, così che un mattino di un sabato, approfittando di un “muletto” da gara (seconda moto) lasciato a casa da uno dei nostri piloti, mi accordai con mio fratello e due amici per andare a scorazzare un poco nei monti vicino a dove si abita. Rinverdire così i fasti di un passato non troppo lontano era il tema di quel giorno, e devo dire che a mezzo secolo d’età raggiunto, mi comportai dignitosamente se non addirittura di più, considerando che uno dei due amici era un ex campione di specialità e non fu facile stargli a “ruota”.  

    Ma il destino era già scritto, e ressi sino al pomeriggio, aizzato da altri amici motocrossisti a dare sfoggio di quanto potessi dare, non avevo fatto i conti con la carta d’identità e con qualche birra di troppo, presi uno curva all’inglese, ma si era in Italia, e un’auto che sopraggiungeva nel suo giusto senso di marcia, me la ritrovai di fronte, inutile il tentativo di frenare, di sterzare o almeno in qualche modo evitare l’ostacolo, ci finii proprio contro, di petto, un “bel” frontale.  Risultato, bacino spezzato, grave emorragia interna, contusioni varie. Fermo a terra ad aspettare l’arrivo di un’autoambulanza e mia moglie alla quale chiesi scusa per ciò che avevo combinato pensando non ce l’avrei fatta. Me lo ricordo bene quel maggio, piovoso come pochi, camino acceso tutti i giorni, preghiere quotidiane perché trovassi la forza nel dolore più atroce di far passare un’altra notte, aspettando l’arrivo del mattino quando Elsa, che allucinato scambiavo per un Angelo Bianco, mi portava il sollievo di due potenti iniezioni antidolorifiche per affrontare il giorno. Così per cinquanta interminabili giorni immobile e accudito amorevolmente dalle cure della mia dolce e paziente compagna di vita. Di colpo, all’improvviso, era crollato un sistema di vita, durò per circa un anno e mezzo, nel frattempo pensavo a cosa potessi fare di nuovo, mi inventai un altro modo di stare al mondo. Pensai, scrissi, lessi, pregai. Mi resi ben presto conto che la crisi è solo un’altra opportunità per chi non vuole sia finita, non mi sono arricchito in denaro, ma molto di più, mi sono rimesso in gioco, come chi perde un lavoro, come chi si ritrova con un pugno di mosche in mano, come chi disperato tenta il tutto per tutto per non morire, e non parlo fisicamente, ma moralmente che spesso è molto peggio, e ancora lotto, combatto per il futuro e per rispetto di me stesso e di chi ancora mi dà fiducia. Non è mai finita, finisce solo quando una persona decide lo sia. Per un po’, si sono fermate le gambe, non il mio cuore, non la mia mente, uguale che morire con il corpo, ma non con l’anima.