(p.b.) Venti di guerra. Scorrono i messaggi sulla tv, al bar brevi accenni di paure ancora in gestazione, lontane. Una scrive: “Voglio portare a Parigi la famiglia ma devo assolutamente sapere la situazione”. Assolutamente devono informare la signora nei dettagli. Forse Hollande o chi per lui lo farà in questi giorni, in fondo che ci vuole, le previsioni del tempo sono credibili a tre giorni, quelle sugli attentati devono assere più attendibili, almeno in un arco di tempo che consenta la prenotazione dell’hotel per Natale.
Un altro messaggio scorre sullo schermo: “Abbiamo fatto anche noi un minuto di silenzio on line”. E allora, come diceva il piccolo Alessi al nonno sulla barca (la “Provvidenza” de I Malavoglia) nella tempesta, “lasciatemi piangere”.
Reazioni individualiste, egoiste, patetiche e ridicole. Meglio quel grande coro della “Marsigliese” nello stadio inglese. La vecchia Europa cerca radici comuni, fatica a trovarle, ma la fame di alleanza, di coesione, può far ritrovare qualche traccia di unità d’intenti, un vero abbraccio europeo sia pure dettato dalla paura, dalla necessità. Ma prima ancora bisogna aprire il cancelletto del proprio orto, capire che il mondo, le minacce, le guerre vanno oltre la nostra siepe, che l’orto del vicino va difeso come il nostro e insieme al nostro. Rimontare come un puzzle il quadro dell’appartenenza, capire, elaborare una strategia di difesa.
Al solito la risposta più immediata a un pugno è un pugno ancora più forte. Ma tirare pugni per aria, non sapere da dove è arrivato il colpo, prendersela con un passante che ha la faccia da straniero, non fa altro che provocare altri pugni, moltiplicare i nemici.
Se c’è un motto da rispolverare è il divide et impera degli antichi romani. La stupidità più eclatante è moltiplicare i nemici. Prendersela, come hanno fatto alcuni giornali (certo giornalismo è sprofondato, spero sia sul fondo, che non si mettano anche a scavare), insultando tutti i musulmani, gli islamici, gli arabi e già che c’era anche tutti gli extracomunitari è da stupidi. Che poi il termine extracomunitari è un’etichetta abusata, includendo a rigore tutti gli americani del nord e del sud, gli australiani, ma anche i giapponesi, i cinesi, i russi, i canadesi… dai, facciamoci qualche altro nemico che poi vanno le truppe di Belpietro e Salvini a combattere per noi sul fronte occidentale e orientale. Conosco e sicuramente conoscete in paese musulmani di una pulizia morale e umanità insospettata. Nei giorni scorsi erano imbarazzati e impauriti, vivono con noi, i loro bambini vanno a scuola e a calcio con i nostri, si parla e si ride, al funerale di uno del paese c’erano anche loro. E ci guardavano per capire se ce l’avevamo con loro, “noi non c’entriamo, non è quella la nostra religione”. Come non è la nostra religione quella becera dei giudizi sommari, dei “bastardi” scritto a caratteri cubitali e gettato nel mucchio degli “islamici”. Nemmeno capendo che c’è una lotta all’ultimo sangue proprio tra sciiti e sunniti. Non è buonismo, è realismo. Troppa fatica capire, spiegare, distinguere, separare, anche solo per convenienza o anche solo ripassare la storiella di come gli Orazi sconfissero i Curiazi…: se non per altro (e altro ci sarebbe) quella del farsi troppi nemici è comunque una strategia da fessi, E poi basta.
Ci sono giorni in cui le parole pesano tanto che si fa troppa fatica a (sop)portarle. Per questo chiudo. (p.b.)