scuola

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    Benedetta gente

    (p.b.) Torniamo tutti a scuola, non solo i nostri figli. Urge educazione permanente. E lì pretendiamo che gli e ci insegnino a distinguere il falso dal vero, il bene dal male. Cose minime, insomma. Ma se gli insegnanti sono scesi nella bassa classifica della stima delle “professioni” (un tempo “missioni”) è impresa disperata. La maggior parte dei genitori, per una botta inspiegabile di autostima a salve, ritiene di sapere tutto, a che serve mandarli a scuola, gli dico io quel poco che deve sapere per farsi largo nella vita. In un film trasmesso nei giorni scorsi (“Non mangiate le margherite”) il protagonista, interpretato da David Niven, alla richiesta della preside della scuola dei suoi figli di un impegno diretto dei genitori nella didattica scolastica, risponde sprezzante che “la scuola serve solo per liberare tempo ai genitori che finalmente si tolgono di dosso per qualche ora i figli”. Come in tutti i film americani, lì ci sarà un (gratuito) lieto fine. Dubito che i genitori che davvero pensano alla scuola come a un “parcheggio ad ore” ci ripensino, temo restino della loro convinzione fino alla fine, non del film, ma della loro carriera. Perché è dilagante da anni la convinzione che nella scelta della scuola pesino più le esigenze dei genitori che quelle educative, di cui ci si sente depositari in esclusiva, senza possederne peraltro i fondamentali. Per cui guai alla maestra (a proposito, vi segnalo l’estinzione dei maestri maschi), ma anche al parroco, perfino all’allenatore che osino contraddire o anche solo mettere in discussione la “linea” sociale e politica dettata dal capofamiglia. Oggi che le “stazioni” informative si sono moltiplicate, riuscire a capire e far capire cosa sia vero e cosa falso dovrebbe essere in cima ai pensieri di un genitore. Ma prima dovrebbe capirlo lui o avere la modestia di rimettersi in discussione. L’Educazione civica e morale (già) dovrebbero rientrare nella programmazione scolastica. Non “dettate” da uno “Stato etico” per cui abbiamo già dato per un ventennio, ma messe in discussione ogni giorno da “professionisti” dell’educazione. I cuccioli d’uomo oggi non sono allevati da noi, ma da una miriade di fonti che molti di noi nemmeno sanno che esistono. E sono inondati di parole, battute, pareri, giudizi che pesano sulle loro scelte future, a un tratto li sentiamo ripetere frasi senza senso. Ma per mettere ordine nei pensieri, ci vogliono insegnanti, “maestri” di grande autorevolezza e preparazione. C’è stato un tempo in cui il “maestro” era un’autorità in paese, un punto di riferimento con il parroco, il medico e pochi altri. (Il sindaco no, che in genere era il rappresentante di una fazione e quindi molto “pro tempore”). Adesso la stima per gli insegnanti è crollata. Di conseguenza la scelta, per molti studenti, diventa un “ripiego”, magari in attesa di “mettersi in proprio”, con conseguente maggiore gratificazione economica. Insomma stipendi bassi, attrattiva bassa, personale di risulta. Fortuna che capita invece di trovare ancora “maestri” che ancora credono di svolgere una “missione”. Predicano nel deserto e su di loro tra qualche anno si potrà girare l’ultimo film della saga “L’era glaciale”. Ma intanto teniamoceli cari (visto che non costano neanche caro).

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    Caso Roma e 5 Stelle. Riesco perfettamente a capire perché di tanto in tanto arrivi un’ondata giustizialista. Ma non è necessario essere avvocati o magistrati per sapere che la legalità e la giustizia sono lontani dall’essere sinonimi. In questo senso non capisco perché i politici, sempre di tanto in tanto, si pongano delle regole (addirittura delle leggi) autolesioniste. Come quella per cui chi è “indagato” deve dimettersi. Anni fa ci si doveva dimettere per un “avviso di garanzia”. E anche quella era un’anomalia, perché poi uno magari veniva assolto ma intanto la frittata era fatta. Questa “regola”, voluta dai giustizialisti-populisti che si ripromettevano di fare “piazza pulita” del male, ovviamente annidato in tutti gli “altri” partiti, adesso gli si ritorce contro. Ma si rendono conto delle conseguenze? Praticamente mettono nelle mani del potere giudiziario (magistrati non eletti, che non rispondono a nessuno se non a se stessi) il futuro di qualsiasi governo, nazionale o locale. Basta una denuncia, anche a capocchia, di un cittadino e si apre un fascicolo, si è “indagati”. Per cui, per estensione della regola, domani mattina se voglio far cadere il sindaco del mio paese, faccio una denuncia, poi si vedrà, intanto dovrebbe dimettersi e si andrebbe a nuove elezioni. Siccome non ritengo che i magistrati siano angeli, ho il sospetto che un magistrato, magari sollecitato da qualcuno, per antipatia personale, per interesse, per appartenenza politica, faccia in modo di “indagare” su un politico facendo anche filtrare la notizia sui giornali e lo faccia così dimettere. Poi, chissà quanti anni dopo, ci sarà una sentenza. Della serie: “Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno giustiziati” (Piergiorgio Bellocchio).