Si spara e non si spera

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    Devo essermi persa qualcosa. O forse ho solo perso me. In questo tragitto veloce che si chiama tempo. E che mi ha già portata un’altra volta a Pasqua. Che resta il mio periodo preferito con la sua luce conscia di avere addosso la rinascita di tutto ciò che capita intorno, dai fiori a Gesù, mica bruscolini.
    Come fosse sempre albeggiante sulla soglia. Fresca come il latte. Erotica come l’alba. Anarchia primordiale. Affondo le radici mentre tento di raggiungere il cielo. E so che tanti non lo possono sentire questo albeggiare sulla soglia, perché sono nella merda, già, nel caos di un mondo che spara e spara e spara e spara e non spera.
    Si comportano come se non fossero vivi. Non è da vivi cercare di togliere la gioia agli altri. Non è da vivi non avere passione. Non avere voglia di pace. Non è da vivi non godere di ogni attimo senza malattia, bisognerebbe festeggiare ogni attimo di salute con chiunque incontri. Non è da vivi trascurare la gioia. Non è da vivi. Non lo è. Siamo diventati moribondi della vita.
    Cerco qualcuno che mi versi addosso il mondo, cerco la luce che mi insegua. Io e te, io e chiunque altro, chiunque altro senza me, insomma, chiunque che si perda libero nel dedalo di una città libera, mentre mi leggi le poesie di Neruda che parlano d’amore o mi canti una canzone di Luca Carboni che mi fa venire voglia di andare sui colli bolognesi senza esserci mai stata, con la città che ne ripete l’eco, le mura e le grandi porte spalancate e pronte ad accogliere chiunque.
    Senza chiedere nulla, sotto la prima pioggia primaverile, dove ci si tiene per il cuore, come foglie verdi bagnate, trovandoci sempre in qualche lampo di luce. È così che si risorge sempre. Anche qui, sulla terra.