Un posto dove non si corre

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    Sulla soglia. Sul davanzale. Sullo schermo di un cinema. Sullo sfondo di un cielo. Sulla superficie di uno specchio. Sul bordo di un marciapiede. Sul suono di una campanella. Di nuovo nel vero inizio d’anno. Dicono sempre tutti che a settembre si riparte. Io non lo so. Perché poi per andare dove? Io continuo a giocare a caso un sorriso dei miei. Che poi va in coppia con un sorriso dei tuoi. Che mena in giro botte di incanto. Di quelle che poi capisci com’è che c’è qualcosa nel mondo che può volare davvero così tanto in alto che da sotto si coprono gli occhi per guardare e poi alla fine non ce la fanno lo stesso. E quel sorriso lo tiri fuori senza accorgerti tra il dire e il pensare, mica il fare. Quello ognuno fa il suo. In un mondo che riparte sempre come fosse ai blocchi di una finale di 100 metri, tutti competitivi, con la fretta di vivere per arrivare. Già, ma per arrivare dove? Io cerco strade dove fermarmi a raccogliere felicità al posto di tulipani, dove mettere nello zaino sprazzi di incanto da coltivare e far diventare meraviglia. E invece mi chiedono di fare in fretta, di impastare parole, di arrivare sempre in un posto diverso. Quasi fossimo soldatini di piombo dove riempire caselle di una guerra che combattiamo da soli. Per poi ritornare nello stesso posto o quasi ogni settembre. Fino a quando di settembri non ce ne saranno più. Ignoro la cautela e la delicatezza dell’alba e mi ci butto dentro, mi ci sdraio sopra e lascio fare al cielo, al vento, al cuore, alle parole, a ciò che sento. Strade nuove. Dove non si corre, dove ci si incanta ancora, come quando da piccola andavo nel bosco con la nonna. Butto via la copia di me stessa che ogni volta devo ripresentare a settembre sui blocchi di partenza, mi dedico agli atti unici. Quelli che sanno di meraviglia.