E poi sono rimasta sola con me. A raccogliermi come le foglie del giardino quando sono cadute, sono belle, colorate, ma stanche. Come me oggi. Galleggio. Senza plurale. Senza ali. Non parliamo poi di pinne. Senza ombra. Senza fondo. La mia musica spenta. I miei libri. I miei ritardi. I tuoi pomeriggi ad ascoltare. A pregare anche. A lavorare. Eravamo comunque nella stessa vita. L’aria in faccia. Il freddo nelle mani. Le mie dimenticanze. Le tue certezze. Eravamo ancora qui. Anche stamattina i discorsi della gente, troppi, e ho quasi finito il barattolo della nutella.
Ed è impossibile ascoltare certi discorsi senza una dose di cioccolato. E così non li ascolto. E penso a quella capanna sull’albero, che non c’è ma che ho appena costruito e arredato, e gli scalini, ancora una volta, il mio conoscermi.
Ecco, quest’anno ho bisogno io di scrivere la letterina a Santa Lucia, e le chiederò quello, una casa sull’albero con le scale che scompaiono appena le salgo io, il mio rifugio, il mio guscio, e un barattolo di nutella. Come starmene in una città a caso senza capire la lingua, tipo a Varsavia o dall’altra parte del vuoto. Non ho la capacità di rispondere alle domande del mio sorriso. Che nonostante tutto è ancora con me. Resta appollaiato lì, su una stella o sul ramo di un’idea in questa mattina di parole e cianfrusaglie sparse nel mio cuore.