Questo ritratto di Vasco Rossi è stato scritto da Fernanda Pivano nel 2004. Fernanda che ha segnato la storia della letteratura italiana, traduttrice dei grandi scrittori, da Hemingway a Kerouac e la storia di intere generazione, lei e il sogno americano, lei e la poesia, lei e la musica. E la musica di Vasco ha segnato Nanda e Nanda ha segnato Vasco.
E così proprio mentre Vasco ha cantato a Modena davanti a 230.000 persone, Nanda in questi giorni compirebbe 100 anni. Una doppia festa, di musica e poesia, e con le sue parole il ritratto di un rocker che va oltre la musica. E che diventa poesia.
Foto di Efrem Raimondi
di Fernanda Pivano
Ah, questo Vasco Rossi. E’ nato a Zocca, un minuscolo paese appenninico in provincia di Modena, il 7 febbraio 1952, adesso sappiamo anche che è nato alle 20.30. Chissà se il padre camionista e la madre casalinga avrebbero pensato che questa data tenera e privata della loro vita di sposi sarebbe finita in tante enciclopedie, in tante biografie, in tanti quaderni di appunti. Un po’ mi sono abituata, con questi miei amici stelle internazionali irripetibili, a sentire queste incertezze sulle loro date, e incertezze non tanto sui loro maestri quanto sui loro allievi, e dubbi sulle loro amanti, tutti nomi a centinaia per Vasco, quasi sempre nomi che gli fanno socchiudere gli occhi ricordando cose che forse non sempre vorrebbe ricordare; ma una cosa non dimenticherà mai comunque, l’amore, la fiducia, la speranza che dà a centinaia di migliaia di ragazzi, coi suoi passaggi intrisi di attesa per giorni che è sicuro saranno, se non felici, almeno senza più sangue, senza più mutilati, senza più vittime bruciate dal terrore. Qualcuno ricorda ancora dei versi senza ritorno, per esempio ‘Per quello che ho da fare/ faccio il militare” o “Non siamo mica gli americani/ che loro possono sparare agli indiani”, o “Siamo solo noi/ generazione di sconvolti/ che non ha più santi né eroi”: è un elenco che potrebbe continuare insieme all’amore di Vasco per i giovani e insieme all’amore dei giovani per Vasco.
Lui si diverte a dire che è nato in una stalla, si diverte a dire che si infila in una tournée “come in un tunnel, buio, sempre buio, non sai più che giorno è e non sai mai dove sei (…) quando improvvisamente si accende il palco a San Siro, un mare di gente, luci, colore, festa. Zainetti, magliette, attese per ore, amori, incontri, baci, carezze, una sensazione che non si dimentica”. C’è un libro delizioso, ‘Il diario di bordo’, curato da Gabriella Ungarelli, con molte poesie del 1994. Lì una poesia del marzo di quell’anno dice: “Una guerra dietro/ dietro le spalle/ da dove si viene./ una brutta guerra / sporca di sangue/ una guerra incontrata per caso/ suonando/ con una chitarra in mano”. Questi versi di Vasco hanno provocato il mio entusiasmo di anarchica pacifista ma è in un volume di interviste raccolte da Diego Giachetti che ho trovato la posizione romantica di questo personaggio più provocatore che poeta….
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