FIORANO – IL CASO – Oumar: si può morire per una… “cazzata”? Aveva rubato (nel 2020) un cellulare, ma aveva pagato. Nel 2023 la condanna a 4 anni, il carcere e la morte

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Luca Mariani

«Sarà dura forse. Sono appena venuti i carabinieri in casa. E adesso sono le 3. Alle 18 hanno detto che tornano. Secondo me non verranno sicuro solo per darmi un foglio. Nella chiamata hanno detto così. È una cazzata secondo me. Non so quando ci vedremo. Mi dispiace ragazzi». Inizia così l’ultimo vocale che Oumar Dia ha inviato ai suoi amici.

È luglio 2023. Oumar ha già capito: quelle sono le ultime ore di libertà della sua vita. Infatti quel giorno le forze dell’ordine arriveranno nella sua casa di Fiorano per arrestarlo e portarlo nel carcere di via Gleno a Bergamo. Tre mesi più tardi, il 26 ottobre, il ventunenne di origini senegalesi muore all’ospedale di Rozzano dove era stato trasferito sei giorni prima dal carcere di Opera, in condizioni gravissime.

Così sabato 11 novembre un presidio organizzato dagli amici del ragazzo di Fiorano in collaborazione con il centro sociale Pacì Paciana ha organizzato un presidio in piazza Matteotti a Bergamo per chiedere giustizia per Oumar.

La prima a prendere il microfono è Noha: «Oumar nel 2020 ha commesso uno sbaglio: ha rubato un cellulare. Uno sbaglio a 19 anni. E ha pagato. Il ragazzo è stato ai domiciliari e ha lavorato. Il telefono è stato ripagato e la pena è stata scontata». L’amica del ventunenne racconta le tribolazioni di Oumar con enfasi e passione. «Il ragazzo si mette sulla retta via, lavora, si prende cura della famiglia. Ogni volta che arriva lo stipendio compra tutte le medicine necessarie alla madre. Il ragazzo ha cambiato strada. Si sbaglia nella vita, succede».

Finché arriva quel maledetto pomeriggio di luglio. Noha entra nel dettaglio di quelle ore e di quell’arresto fatale: «Oumar un giorno torna dal lavoro e viene avvisato che deve ricevere dei fogli. Nonostante l’avviso lui sa già cosa sarebbe successo e manda un messaggio audio ai suoi amici. Si reca in questura per evitare alla famiglia la visione di un figlio arrestato. Invece arrivano in casa con le armi spianate…”

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