GANDELLINO – LA STORIA – Flora Fiorina, medico e sindaco: il Covid 19 l’ha provato sulla sua pelle e s’è portato via suo marito . “Noi montanari siamo stati abbandonati dalle istituzioni e vittime del fallimento del sistema sanitario lombardo”

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Come tanti altri medici di base, il fallimento della Sanità sul territorio lombardo l’ha vissuto in modo tragico: non solo perché ha provato il Covid 19 sulla sua pelle, ma soprattutto perché l’ha visto portarsi via suo marito, il compianto Luciano Sozzi – tra l’altro sindaco di Castione dal 1985 al 1992 – mentre ha visto andarsene anche 13 dei suoi concittadini, un numero altissimo in un paese di soli 990 abitanti.

Flora Fiorina, medico nonché sindaco di Gandellino, viene da una famiglia numerosa: padre commerciante, mamma maestra, sei figli, tutti laureati pur avendo sempre abitato nel paese in cima alla Valseriana e “nonostante tutti i pregiudizi che ancora permangono sulle piccole scuole di montagna, che invece forniscono una preparazione di base non meno accurata di quelle dei grandi centri”.

Prima si laurea in Pedagogia, e mentre insegna italiano e latino alle Medie studia per la seconda laurea, quella in Medicina. Si specializza poi in Psicologia Clinica e più tardi, a Torino, in Consulenza Sessuologica. Intanto si sposa e mette al mondo due figli, Armando e Francesco, i quali, dopo le Superiori a Clusone e l’Università, diventano docente di Finanza a Ca’ Foscari, a Venezia, il primo, e dirigente del reparto di Auxologia dell’ospedale Niguarda di Milano, il secondo.

“Ho potuto studiare così tanto – dice la dottoressa – perché mia madre e mio marito mi hanno sempre sostenuta ed aiutata, senza mai farmi pesare le mie assenze… domestiche né il poco tempo che avevo da dedicare loro, standomi vicini in ogni modo; anche quando ho cominciato ad esercitare la professione e dovevo servire un territorio che andava da Gorno a Lizzola, impegnata dalle otto del mattino alle otto di sera, spesso Luciano mi accompagnava in auto. E quando mia madre mi rimproverava di essere ‘sempre in giro’, lui tagliava corto e le rispondeva che era giusto facessi quello che mi piaceva fare.

Mio marito era un tipo po’ brusco, niente affatto complimentoso ed alieno da ogni smanceria, da buon bergamasco; ma c’era sempre, a sostenere, ad aiutare, senza che nemmeno ci fosse bisogno di chiederglielo. Per questo quando l’ho visto per l’ultima volta prima che lo intubassero e mi ha salutato dicendomi ‘ti voglio bene’, mi sono allarmata tantissimo: una frase così, in pubblico, Luciano non l’avrebbe mai pronunciata…

Anche coi ragazzi era sempre presente: un po’ rigido e severo, forse, ma attento e incoraggiante, mentre con le nipotine era tenero e dolcissimo, ce l’ho ancora davanti agli occhi mentre aiuta una di loro a fare i compiti on-line, e la sprona a mostrare alle maestre quanto è brava e diligente… Pensi che questa bimba, 1ª  elementare, mi ha chiesto di festeggiare il suo compleanno, il prossimo giugno, qui a casa mia. Ma certo, le ho risposto, e quale regalo ti piacerebbe? E lei: – Un regalo che non mi puoi fare. Se è molto costoso – ho replicato – posso mettermi d’accordo coi tuoi genitori così lo compriamo insieme… Ma la piccola ha scosso la testa: – No, Nonna,  quello che voglio io non si compra neanche con tanti soldini, il regalo che voglio io è che torni il Nonno!”.

La via crucis di Luciano

La ‘via crucis’ di Luciano Sozzi comincia una sera di domenica quando, dopo aver lavorato nell’orto, mentre si fa il bagno, la moglie non lo sente più muoversi ed accorre: “Non mi reggo sulle gambe” – le dice e lei, da buon medico, provvede a tutti i controlli del caso, senza però rilevare particolari problemi. “Sarà stata l’acqua troppo calda”, pensa.

Poi cenano insieme e lui mangia regolarmente. Ma il giorno dopo la debolezza alle gambe persiste, e quando la dottoressa torna dal suo servizio alla Casa di Riposo di Valbondione, verso le 14, il marito le dice di avvertire uno strano caldo alle orecchie. Prova della febbre: 37,2.

“Ho iniziato subito la terapia del caso, ma il giorno dopo la febbre era salita, 38 di giorno e quasi 40 la sera. Allora ho chiamato mio figlio medico, che, pur non essendo pneumologo aveva dato la sua disponibilità a lavorare in reparto Covid e doveva finire il suo turno di 12 ore.

Intanto anch’io comincio a non stare bene, ma resisto e continuo a star vicino a mio marito. Quando arriva mio figlio decidiamo di continuare la terapia intrapresa, ma il giorno dopo la situazione peggiora e Luciano comincia a straparlare…

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