GANDINO – Alla ricerca del tempo perduto – La «Festa dei pendolòcc» una tradizione tutta barzizzese

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Pietro Gelmi

Battista Suardi

Le tradizioni sono testimonianze d’un passato tanto remoto da non poter essere scritto. Vivono in noi e ci legano intimamente alla comunità cui apparteniamo. Perciò, quando una tradizione muore, una parte di noi si spegne con essa.

Non sappiamo a quali epoche remote risalga la tradizione barzizzese del maggiociondolo, forse perché ci riconduce alle primavere sacre dei nostri antichi progenitori, erranti senza tregua alla ricerca di nuovi territori di caccia e di pascolo. L’ignoto li affascinava, come l’astro lucente del sole, che seguivano nei loro periodici spostamenti. Tribù nomadi, legate da origini comuni e da vincoli di sangue, che non avevano maturato il concetto di comunità, perché ancora non avevano scelto un territorio su cui stanziarsi stabilmente, fissando le loro dimore accanto alle ossa dei padri e ai luoghi di culto in una unione carica di sacralità e di affetti profondi.

L’ampia diffusione dei riti e delle costumanze legate alla fertilità, anche in aree molto lontane e culturalmente diverse, sembra ricondurre a una matrice comune, nata in epoche preistoriche nelle steppe dell’Asia centrale, culla e crogiolo dei popoli indoeuropei.

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