GANDINO – Serena, otto anni di ‘via crucis’: “Ormai credo di aver sperimentato tutti i tipi di dolore, un continuo saliscendi tra la speranza e la disperazione”

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Una ‘via crucis’ che va avanti ininterrottamente da ormai otto anni: questa in estrema sintesi la vicenda che Serena Nodari sta tuttora vivendo e che, dopo alcune esitazioni, ha deciso di raccontarci, per aiutare le donne che come lei si trovano la vita stravolta dal tumore, per ribadire la necessità della prevenzione e della ricerca e per sollecitare le malate a non arrendersi mai, a continuare nonostante tutto, a godersi il bello che la vita può riservare a tutti noi:

“Non dico a combattere il male, la nostra non è una guerra, noi il tumore lo possiamo e lo dobbiamo curare, quello presente e anche quello futuro, se verrà. Un passo per volta, per quanto sia faticoso il viaggio che, come il mio, è tutto su un sentiero in salita pieno di ostacoli, e non so mai cosa mi aspetta al passo successivo… Dopo tanti anni sono ancora qui, e vorrei incoraggiare chi a questo tunnel si è appena affacciato oppure lo sta percorrendo, vorrei dirgli che, pur pesantemente condizionata dalla malattia e dalle terapie, la vita e il presente non vanno mai sprecati”.

Ricostruire con la precisione con cui ce le ha raccontate tutte le tappe della ‘via crucis’ di Serena richiederebbe ben altro spazio che questo, per cui è giocoforza tentarne una sintesi:

Di avere un nodulo al seno mi sono accorta nel maggio del 2014, quando avevo 45 anni, con la semplice palpazione. Non trovando spazio per una visita urgente dal senologo del SSN,  dal senologo ci andai subito in privato, e l’ecografia non mi lasciò dubbi, anche se in me, che le cose le sento istintivamente, c’era già la certezza di avere un cancro al seno. Era un carcinoma di notevoli dimensioni, anche perché ho un seno piuttosto ‘importante’, vicino ad uno dei capezzoli e dovevo decidere: o la chemioterapia o la mastectomia. Decisi per quest’ultima, al momento il mio aspetto estetico, che pure è importantissimo per una donna, passava in secondo piano rispetto all’esigenza di guarire. Dunque subii l’ intervento di mastectomia, con la previsione del successivo intervento di ricostruzione, che invece andò malissimo, forse anche perché il chirurgo plastico mi vide per la prima volta il giorno stesso dell’operazione… Mi salvarono il capezzolo, ma sopravvenne un’infezione e mi ritrovai con un capezzolo raggrinzito, la relativa cicatrice, e in più la cicatrice dell’operazione…”.

Ad agosto Serena viene messa in lista per un altro intervento di ricostruzione: menopausa anticipata e un altro anno di assidui controlli, col dubbio che ‘l’imbottitura’ non basta a preparare lo spazio per la ricostruzione. Serena non si arrende, si reca da senologo milanese che già alla prima occhiata rileva qualcosa che non va, ma la rimanda a Bergamo dalla sua équipe oncologica per sentire anche il parere dei colleghi. Qui le propongono di aumentare le dimensioni dell’espansore che si è un po’ svuotato lasciandole il seno così avvizzito. Serena, non convinta, torna a Milano, dove scopre che l’espansore è forato. Ancora un anno di attesa e un altro intervento per sostituire l’espansore rotto:

“Seguirono  altri due interventi,  e mi ritrovai  con un seno tutto asimmetrico, con una mammella molto più ‘alta’ dell’altra…

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